
Le radici embriologiche dell’embodiment dello spazio
Da un incontro a casa di Bonnie, ad Amherst nel Massachusetts, di domenica 5 marzo 2005, e da altre conversazione dell’inizio del 2006.
Nancy Stark Smith – Sono veramente felice di ritrovarci tutte qui e che tu abbia accettato di fare con noi questa chiacchierata in occasione del numero di CQ “Place”. Di che cosa ci vuoi parlare? Bonnie Bainbridge Cohen – Ciò che più m’interessa è lo sviluppo embriologico in quanto embodiment dello spazio piuttosto che embodiment della struttura. Il “luogo” che ho intenzione di condividere con voi è il vuoto. Il nostro primo embodiment, prima ancora di dare corpo alla struttura, è quello che noi facciamo in relazione allo spazio vuoto. Durante la nostra vicenda embriologica, noi passiamo attraverso una serie di spazi. Non è che noi semplicemente si abiti lo spazio; noi lo spazio lo creiamo. La questione è complessa. Ovvero, in sé non lo sarebbe, ma sono io che la faccio complessa. Nancy – E noi contiamo proprio su di te!
Prima settimana
La prima cellula… sono due Bonnie – All’inizio, ci sono l’ovulo e lo spermatozoo che si uniscono. È interessante: prima si pensava che dall’unione di ovulo e spermatozoo si ottenesse una cellula primaria che poi si sarebbe divisa e riprodotta. Ma poi si è scoperto che la prima cellula è fatta di due cellule1: invece di una sola cellula primaria, ci sono due identiche cellule-sorelle contenute all’interno della stessa membrana. È lo yin-yang: non è uno, non è due. Successivamente le due cellule si dividono e diventano quattro, poi otto, ecc. Rimangono però nello stesso contenitore, nella stessa membrana: in tal modo ogni nuova generazione misura la metà ma è il doppio per densità e concentrazione. E così abbiamo una formazione che contiene cellule portatrici delle stesse caratteristiche. L’intera struttura è chiamata morula e non è più grande della punta di una biro. La comunicazione avviene da cellula a cellula; non c’è alcun comando o centro di controllo esterno. Quando la morula arriva a circa 50 cellule, quelle più all’interno si differenziano da quelle all’esterno: la sfera di cellule si chiama ora blastocisti. La spazialità è importante e la posizione in cui le cellule si trovano è determinante per ciò che in seguito esse diventeranno: la massa cellulare situata più all’interno della sfera diventerà l’embrioblasto, da cui poi si formerà la persona; mentre la massa cellulare più esterna della sfera diventerà il trofoblasto, che poi progressivamente fino alla nascita formerà le strutture di sostegno, quali le pareti interne dell’utero e le connessioni con l’apparato circolatorio della madre. Siamo noi stessi a creare, fin dall’inizio, ciò che ci dà sostegno. Quando la blastocisti raggiunge la grandezza di circa cento cellule, la membrana comincia a dissolversi e l’intera massa cellulare erompe dalla membrana proiettandosi fuori e cominciando a nuotare nel fluido trasparente dell’utero (ora è detta blastocisti fluttuante). È così che noi “sgusciamo” dall’uovo. Nancy – In che senso la cellula primaria non è una ma due? Bonnie – Quell’unica cellula originaria – spermatozoo più ovulo – non è realmente una cellula primaria; è un processo che dura 12-24 ore. La prima cellula… sono due: questo mi piace proprio. C’è già una forma di comunicazione; da subito abbiamo a che fare con polarità differenti. Da sempre noi siamo “due”. Non è fantastico?
“Così noi dobbiamo poter consolidare il nostro proprio sistema di sostegno prima di passare alla fase successiva: un processo questo che va avanti per tutta la vita. Da dove attingiamo il sostegno che ci consente di essere davvero presenti a noi stessi?”
Seconda settimana
Il sacco vitellino Bonnie – Intorno al settimo giorno dopo il concepimento, comincia la fase dell’impianto: la blastocisti cresce nel rivestimento dell’utero penetrando in esso attraverso dei villi che vanno a connettersi al sangue della madre. Intorno all’undicesimo giorno comincia a formarsi il foglietto embrionale. Avviene così: [Bonnie simula con le mani una forma sferica] la massa arrotondata di cellule [poi continua schiacciando la forma fino a unire le mani] va condensandosi internamente fino ad appiattirsi. È questo ciò che è chiamato foglietto embrionale a doppio strato. La sua parte anteriore, cioè ventrale, è costituita dall’endoderma, quella posteriore, la dorsale, è costituita dall’ectoderma. Dalla parte ventrale (endoderma) si sviluppa il sacco vitellino, da quella dorsale (ectoderma) ha origine la cavità amniotica. Il sacco vitellino è nutrimento; la cavità amniotica è la protezione che in seguito diventerà il contenitore del mare in cui nuota il feto. Il sacco vitellino e la cavità amniotica sono come due palloncini che si toccano. Là dove avviene il contatto c’è il foglietto embrionale, la futura persona. Il tutto è circondato da quella cavità piena di liquido che è il trofoblasto. Il sacco vitellino consente la sopravvivenza del foglietto embrionale, è il suo nutrimento. Il sacco vitellino è uno degli spazi di cui vi voglio parlare. Una volta impiantata, la blastocisti può cominciare a crescere realmente, dato che può finalmente ricevere nutrimento dall’esterno, dalla madre. Prima d’ora, il nutrimento proveniva solo dall’interno, dal sacco vitellino. Così noi dobbiamo poter consolidare il nostro proprio sistema di sostegno prima di passare alla fase successiva: un processo questo che va avanti per tutta la vita. Da dove attingiamo il sostegno che ci consente di essere davvero presenti a noi stessi?
Terza settimana
Il sacco vitellino assume una nuova forma
Arrivati al quattordicesimo giorno, la blastocisti ritorna alla forma sferica, con un diametro che a questo punto è più che raddoppiato. Entrando nella terza settimana, la pressione interna cresce e il sacco vitellino si rompe [vedi immagine]. Il fluido contenuto all’interno del sacco vitellino primario confluisce nel liquido contenuto in una cavità più ampia, la cavità corionica (o camera ovulare), in cui il fluido “interno” e quello “esterno” scambiano informazioni. Successivamente il sacco vitellino si riforma assumendo dimensioni più ridotte, diventando così sacco vitellino secondario. A questo punto il foglietto embrionale viene a trovarsi in uno spazio più ampio, uno spazio in cui poter crescere!
La stria primitiva, il mesoderma e la notocorda
Bonnie – Ora abbiamo due strati: l’endoderma e l’ectoderma. Durante la terza settimana, a partire dall’estremità caudale (coda) del foglietto embrionale cresce un insieme di cellule allineate, chi
amato stria primitiva. Si delinea così il nostro asse centrale. Comincia quindi a formarsi il terzo strato, il mesoderma, che separa endoderma ed ectoderma. Dalla stria primitiva ha origine la notocorda. Questa sorta di cordone centrale, che ha la consistenza di un’uva ben soda, si sviluppa longitudinalmente attraverso il disco trilaminare, definendone così la simmetria bilaterale. Nell’adulto, tracce della notocorda restano nei dischi vertebrali e nei legamenti all’interno del canale vertebrale. Dal mesoderma si sviluppano la fascia, i muscoli, le ossa, il sangue, il cuore, la linfa e il sistema urogenitale compresi i reni. Dall’endoderma si sviluppano il tratto digerente con i relativi organi, la pelle e il sistema nervoso.
Il ritmo del sistema nervoso autonomo
Bonnie – Quello che accade in seguito è davvero strabiliante. Nella terza settimana, mentre la notocorda continua a svilupparsi, tra il sacco vitellino e la cavità amniotica si apre un canale, chiamato canale neuroenterico, che attraversa la stria primitiva [vedi immagine]. Abbiamo così uno scambio di liquidi che fluiscono avanti e indietro nel corpo. Io credo che questa sia la base da cui nasce il ritmo del sistema nervoso autonomo. [Il sistema nervoso autonomo (SNA) governa gli organi vitali.] Si tratta di un ritmo simile a quello del liquido cefalo rachidiano. Credo che esista un unico ritmo nel corpo, ma che, come nella musica, abbia mille variazioni. A questo punto, tale ritmo primario del SNA s’imprime in ogni cellula. Nancy – Vuoi dire che quest’apertura, questo canale di comunicazione di fluidi che vanno avanti e indietro, stabilisce un ritmo fluido fondamentale che s’imprime in ciascuna cellula prima che le cellule si differenzino in diversi sistemi corporei? Bonnie – Sì, e te lo faccio sentire. [Bonnie fa la sua dimostrazione ponendo le mani sul petto di Nancy. Sta in silenzio per circa mezzo minuto.] Bene, ora comincia a muoverti, qualunque cosa tu stia sentendo. Ecco, questo è il movimento in avanti, questo il movimento indietro. Quando la sensibilità si acuisce, riesci a sentire se stai andando contro il fluire della tua propria marea interna. Puoi anche modificare il fluire della marea [Bonnie sposta le mani sull’addome di Nancy], muovertici dentro. Quando entriamo in contatto con questo ritmo fluido, ci muoviamo senza sforzo e la mente è in sincronia col corpo. È un flusso che si può sentire nelle braccia, nelle dita delle mani o dei piedi. Quando impari a riconoscere questo ritmo toccando qualcun altro con le mani, il suo movimento si fa privo di sforzo perché il tuo ritmo entra in risonanza con il suo. La risonanza è la chiave per trovare questo ritmo, che è presente in tutte le cellule. È il canale neuroenterico regola questo ritmo fluido. Il canale viene definito neuroenterico, e non assiale, in quanto opera una connessione antro-posteriore piuttosto che tra l’alto e il basso, ovvero spinale/assiale.
Il luogo dello spazio
Bonnie – Se ora poni le tue mani su di me [Nancy pone una mano sullo sterno e l’altra sulla parte alta del dorso di Bonnie], senti come, usando i muscoli e le ossa, io sto piegando in avanti la spina dorsale. Quando il movimento è generato a partire dal sistema schelerico-muscolare, c’è più peso e una maggiore intenzionalità, anche se il movimento è particolarmente lieve. Ora invece [ripete lo stesso movimento], se passo all’embodiment della notocorda, ecco che sono nello spazio. Mi strutturo diversamente perché mi rifaccio a un processo passato, non è un modo di strutturarsi legato al presente. Immaginate che queste siano le vertebre [le rappresenta usando i pugni]. All’interno del canale vertebrale, là dove sta il midollo, dietro i corpi e i dischi vertebrali e davanti al midollo stesso, si trova il legamento longitudinale posteriore, che sostiene dall’interno la colonna vertebrale in tutta la sua lunghezza. Questi legamenti e questi dischi contengono tracce della notocorda, che ne definisce lo spazio centrale. Guardate, così [Bonnie si muove] mi muovo partendo da parte ossea della spina; così invece [si muove di nuovo] sto nel midollo; e ora così, invece, nello spazio. Ho individuato il luogo dello spazio, là dove sta la notocorda. Quando piego in giù la spina dando inizio al movimento a partire dal sistema scheletrico-muscolare c’è una sensazione di peso. Se lo faccio dalla notocorda – che non c’è più in quanto tale, mentre il suo modo di funzionare continua a esserci – sono nello spazio. C’è spazialità. Anche se m’inarco all’indietro, non sento la materialità [mentre parla Bonnie continua la dimostrazione pratica e Nancy tiene le mani su di lei]. Ecco, io sento che quando si entra in uno stato meditativo o si è partecipi di forme di sottile movimento interiore, come nelle pratiche del Body-Mind Centering® – o in altre come il Continuum, il Movimento Autentico, la danza Sufi, la Contact Improvisation, il Katsugen Undo – s’arriva a un punto in cui ci si connette a un senso primordiale dello spazio: leggerezza, agio, flusso. Ecco che allora veniamo a trovarci nel luogo in cui si trova lo spazio. Andrea [ridendo] – Prendiamoci un po’ di tempo per godercelo: il luogo dello spazio! Bonnie – Da sempre studiamo la struttura, ora qui si tratta di studiare lo spazio. Quando arriviamo a essere presenti a noi stessi, entriamo in contatto con questo ritmo, così fluido, e con questo senso di spazio.