Il colon e il bisogno

 

Leggo su Microbiota l’articolo

Quante volte al giorno è normale andare al bagno?


https://microbiota.news/quante-volte-al-giorno-e-normale-andare-al-bagno/

Dai questionari dei partecipanti, risulta anche che costipazione e diarrea mostrano un’associazione con depressione e ansia, un dato emerso anche da studi precedenti, secondo i quali il legame si evidenzia anche in caso malattie croniche neurodegenerative, come Parkinson e Alzheimer.

In altre parole, anche la salute mentale è influenzata dalla frequenza con cui si va in bagno.

In modo speculare, analizzando le “famiglie” batteriche del microbiota intestinale dei partecipanti allo studio si poteva quasi prevedere il numero di volte al giorno in cui andavano alla toilette.

 Peter Levine, nel libro  “Tu sei i tuoi organi”  approfondisce l’argomento, come depressione, ansia e malattie degenerative possano essere influenzate dalla mancanza di sostegno del colon.

Il Colon

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L’intestino crasso assume i compiti che di solito spettano ai genitori e agli educatori: permettere la curiosità e la ricerca della libertà all’interno di un quadro sicuro e sopportare la paura che i propri figli possano farsi male o perdersi in questa ricerca di forza e carattere. Lo sviluppo di un bambino riflette quello del colon: lotta per l’autonomia, pur cercando sicurezza e mettendo in discussione l’attaccamento, mentre si assicura che la sua base rimanga lì. Così è come i bambini e anche gli adulti, che si sviluppano come individui. Dobbiamo essere capaci sia di rimodellare le relazioni esistenti che di svilupparne di nuove, mantenendo il nostro senso dell’identità.

La relazione tra l’intestino tenue e il crasso è una relazione di contenuto dinamico e di quadro stabile. La capacità di mantenere questo quadro permette lo sviluppo. In psicologia, la parola “sostenere” viene spesso usata per descrivere questo. Un bambino può svilupparsi grazie alle cure dei suoi genitori e alla loro capacità non solo di sopportare le paure e gli impulsi distruttivi del bambino, ma anche di trasformarli in emozioni sopportabili e non distruttive. Il bambino può quindi riassorbire e identificarsi con quei sentimenti. Questo processo di proiezione e identificazione è stato descritto da Melanie Klein.

Il suo allievo britannico Donald Winnicott (pediatra e psicoanalista) ha chiamato questa capacità genitoriale e terapeutica come “sostenere”. Il sostegno rappresenta l’attenzione e la cura, sia fisica che emotiva. Permette al bambino di sperimentare gli stati fisiologici ed emotivi come non soverchianti. Winnicott ha partecipato al dibattito, spesso moralizzante, sulla iperprotezione materna, con il suo concetto di “madre sufficientemente buona”. Non è necessario essere una super-mamma per “gestire” o “sostenere”. Una “madre sufficientemente buona” è sufficiente. Pertanto il sostenere non conduce all’idealizzazione di un caregiver, né all’idealizzazione della relazione di cura.

Il sostegno è una condizione preliminare dello sviluppo individuale, ma è anche un simbolo dei processi di guarigione individuali e collettivi. Questi processi non sono esenti da ambivalenza o paura – paura che le trasformazioni siano fatali o che il nostro quadro si rivolti contro di noi, ci soffochi o ci mangi vivi. Pertanto la nozione di “sostenere” può essere ritrovata anche nella terapia, nei rituali, nelle favole e nella religione.

Nel ventre della balena

Il profeta Giona non si offrì volontario per essere un profeta. Fu scelto per il lavoro dall’autorità massima e tentò di rifiutare. Poiché il “no” non fu accettato come risposta, cercò di nascondersi, tra tutti i posti, nel ventre di una balena. Questo era un rifugio e uno spazio transitorio. Nell’ambiente sicuro del ventre della balena, Giona si trasformò. La maturazione che sperimentò gli permise di essere finalmente all’altezza del compito che gli era stato affidato. Tuttavia non voleva partire e aveva bisogno di un piccolo incentivo, quindi la balena lo vomitò.

Quando andiamo in terapia o cerchiamo la trasformazione personale durante una crisi individuale o collettiva, spesso sopravviviamo perché speriamo di trovare quello spazio transitorio di sostegno. Se siamo fortunati, abbiamo un amico o un terapeuta che riesce prima a creare per noi un “ventre di balena” “e poi, quando siamo pronti, a darci un calcio di sviluppo” nel sedere, come fecero Dio e la balena con Giona.

a cura di Paolo Maderu Pincione