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Home › Risorse › Trauma e dialogo › Trauma – Un approccio osteopatico

Trauma – Un approccio osteopatico

Pubblicato il 18 Maggio 201013 Luglio 2015 da maderu

di Jean-Pierre Barral e Alain Croibier – Edizione italiana a cura di Castello editore

Quando subiscono un colpo, i tessuti circostanti sono teoricamente deformati con una proiezione perpendicolare alla direzione dell’impatto. La cavità cranica, a causa dell’elasticità ossea e delle linee di sutura, può arrivare a deformarsi anche di un centimetro in direzione tra sversale! Gli elementi intracranici sono condizionati dal movimento della colonna cervicale, che deforma la cavità cranica, producendo un’eccessiva pressione intracranica in grado di provocare un’ulteriore deformazione. L’aumento della pressione intracranica ha ripercussioni su tutto il canale vertebrale. Questo fenomeno spiega anche perché la parte posteriore del cervello tende a essere schiacciata contro il grande foro occipitale. È facile immaginare che l’eccessiva pressione influisca su tutti gli ostacoli circostanti il midollo, sia gli ostacoli anatomici naturali sia quelli acquisiti, come l’artrite.
Si comprende dunque l’importanza dello stato prelesionale. Molti pazienti affetti da artrite asintomatica accusano gravi dolori a seguito di traumi anche minimi, proprio a motivo del loro stato prelesionale. Anche se in tale stato vi è soltanto una restrizione significativa, le forze di collisione non possono essere distribuite e ammortizzate normalmente. Esse convergono là dove mobilità e capacità di distensione sono minori.
In conclusione, qualunque irregolarità ossea o restrizione tessutale può fungere da centro di convergenza per le lesioni. Per esempio, Goldsmith (1966) ha dimostrato che, a parità di valore dell’accelerazione, la pressione cranica in eccesso è inversamente proporzionale al diametro interno del cranio. Statham (in Gurdjian e Webster, 1958) ha notato che, nei cani, l’accelerazione è sempre accompagnata da un aumento della pressione intracranica.

ACCUMULO E SATURAZIONE D’ENERGIA
Il concetto di accumulo e saturazione d’energia in specifiche regioni dell’organismo è difficile da dimostrare. Una certa quantità di energia cinetica è applicata all’organismo nel corso di un trauma. L’organismo deve assorbire questa energia, che viene trasformata nei tessuti, principalmente sotto forma di calore e deformazione. Fratture, distorsioni e lussazioni rappresentano la conversione dell’energia cinetica nel lavoro di deformazione.
Tuttavia, non tutta l’energia cinetica è necessariamente incanalata in queste lesioni principali. Per la legge di conservazione dell’energia, la quantità di energia cinetica non utilizzata dal lavoro di deformazione sarà convertita in energia potenziale!
Questa energia potenziale è apparentemente immagazzinata nei tessuti molli, perlopiù nei tessuti connettivi elastici. A causa della loro elasticità, questi tessuti sono capaci di una significativa deformazione, taluni anche dell’800%. Tuttavia, al di sopra di una certa soglia di deformazione, possono non essere più in grado di ritrovare le loro caratteristiche meccaniche
originali. Così, alcune regioni dell’organismo stimolate da uno o più traumi possono ritenere una certa quantità di energia di origine traumatica.

Variazioni di pressione e cavitazione

Durante il trauma, la pressione endocavitaria è modificata. I differenziali di pressione sono stati ampiamente studiati nel cervello. A causa di differenze nella loro densità, cervello e cranio reagiscono in modo diverso all’impatto. Lo spostamento della massa cerebrale in direzione della parete ossea determina una variazione di pressione che può produrre “bolle di cavitazione” in grado di creare microlesioni cerebrali.
Secondo Goldsmith, il trauma produce gradienti di pressione in tutti i liquidi eccetto la gelatina. Il fenomeno della cavitazione esiste in tutti i liquidi ed è riconosciuto dagli osteopati nel liquido sinoviale. Goldsmith ritiene che la cavitazione si verifichi in liquidi cerebrali come sangue e liquido cerebrospinale, ma non nel tessuto cerebrale stesso (Goldsmith, 1966).
Oltre alla cavitazione, anche i gradienti di pressione hanno un ruolo nella formazione delle lesioni. Le differenze di pressione sono compensate da liquido cerebrospinale, membrane intracraniche, grande foro occipitale, membrane timpaniche, cavità uditive, globi oculari e i numerosi forami alla base del cranio. Nella pelvi, un compito analogo è affidato ai fori otturatori e a tutti gli orifizi naturali. Nel torace, la compensazione pressoria (“ammortizzamento”) avviene in spazi intercostali, orifizi diaframmatici, stretto toracico superiore, sistema di sospensione della pleura e parte inferiore delle guaine fasciali del collo.
Benché molte domande restino ancora senza risposta riguardo agli effetti del trauma, possiamo presumere che quanto vale per il liquido cerebrale si applichi anche agli altri liquidi corporei. L’ammortizzamento della pressione avviene principalmente in cavità chiuse come il torace, l’addome e le articolazioni.

Fenomeni vibratori e movimento dei liquidi

ONDE VIBRATORIE
In un impatto traumatico, gran parte dell’energia applicata è trasmessa da vibrazioni che attraversano i tessuti molli e quelli ossei. L’impatto crea influssi vibratori che sono assorbiti o amplificati in vari gradi secondo densità, elasticità, plasticità, distribuzione e compressibilità dei tessuti attraversati. Tutte le aree elastiche permettono lo spostamento vibratorio.
In un sistema modello, Goldsmith ha ottenuto onde d’urto che si propagavano a una velocità approssimata di 1,5 km/sec dal punto d’impatto. Un impatto forte e improvviso produce onde vibratorie in grado di arrecare lesioni significative. Alcune lesioni possono essere ubicate lontano dal punto d’impatto, un fenomeno ben noto agli osteopati.
In traumatologia si vedono spesso fratture alla base del cranio senza alcun segno localmente visibile di impatto. Ciò avviene perché il grande foro occipitale funge da elemento di concentrazione dello sforzo sia nei traumi verticali sia in quelli orizzontali. Un impatto violento è trasmesso attraverso i condili occipitali alla relativamente fragile base del cranio (Chapon, 1978). Anche nel caso di ìmpatto craniale laterale, gli osteopati rilevano spesso che le onde d’urto influenzano gli organi addominali, come fegato, milza e reni.

MOVIMENTO DEI LIQUIDI
Accelerazione e decelerazione trasmettono un movimento ai liquidi corporei (liquido cerebrospinale, linfa, sangue ecc.). Un’eccessiva pressione nel liquido cerebrospinale, dovuta alla deformazione del cranio, può causare, in combinazione con il movimento di flessione laterale, lesioni ai tessuti cerebrali. Il novanta per cento delle commozioni allo stadio acuto presenta un’anomalia di perfusione nella regione frontotemporale (Mnidiru, 1991) che è dovuta al movimento dei liquidi intracerebrali e accompagna i fenomeni neurochimici.

Modalità di azione del trauma
Gli elementi fondamentali del trauma sono:

  1. ubicazione
  2. impatto
  3. durata
  4. tipo di trauma:
    1. meccanismo diretto dovuto a un contatto
    2. meccanismo indiretto dovuto all’inerzia.

Nozione di “tratto pontomidoltare”

Concordiamo con Breig che, dal punto di vista biomeccanico, il midollo spinale non può essere studiato come entità indipendente; piuttosto, deve essere considerato come un tratto continuo di tessuto nervoso e di sostegno, che si estende dal mesencefalo al cono midollare e alla cauda equina. Breig denomina tale entità “tratto pontomidollare” (PCT, ponscord tract).
Le proprietà statiche e dinamiche di questo tratto facilitano la comprensione degli effetti del trauma e una visione globale della meccanica craniospinale:

  • durante l’estensione vertebrale, da una posizione neutra, gli assi del canale vertebrale e del PCT si accorciano, e i tessuti sono rilassati e ripiegati (Figura 2-20);
  • in posizione neutra, il PCT ritrova la sua lunghezza originale, cessa il rilassamento tessutale e le pieghe scompaiono;
  • in flessione, durante la quale la lunghezza del canale vertebrale aumenta, il PCT subisee uno stiramento.
    Durante questi movimenti vertebrali, gli assoni e i vasi sanguigni subiscono una distorsione simile a quella del PCT.

Aumento della trazione in direzione  cefalica durante la flessione vertebrale
Anche se la dura madre è fissata alla base del cranio e al sacro, queste inserzioni non devono essere confuse con quelle del PCT. Distalmente, il PCT è fissato dalle radici e dalla cauda equina ai forami vertebrali lombari e ai forami sacrali, e dal filo terminale alla base del coccige.
Nel corso dei movimenti di flessione vertebrale, la tensione delle radici e del filo si comunica al midollo spinale. Questo fenomeno è particolarmente marcato nei pressi della cauda equina, dove le forze convergono verso il cono midollare, sottoponendolo a uno stiramento. In misura minore, anche le altre radici spinali contribuiscono allo stiramento del PCT, ma quello operato dalle radici distali è dovuto principalmente al loro numero e al loro orientamento verticale. La tensione distale aumenta progressivamente verso l’estremità superiore del midollo spinale e della regione pontina (Figura 2-20).

Forame intervertebrale

Studi condotti a Nizza da De Peretti hanno evidenziato la scorrettezza della descrizione convenzionale del forame intervertebrale, secondo la quale esso è chiuso da una membrana tesa come una pelle di tamburo. In realtà, la radice del nervo è attaccata al forame vertebrale mediante numerose espansioni che lo attraversano (Figura 2-21). In particolare, vi sono due siti di fissaggio del nervo e della radice:

  • il collare radicolare della dura madre;
  • numerose espansioni fibrose alla periferia del forame.

Guaine nervose
In una sezione del nervo spinale, la continuità tra gli involucri midollari e le guaine nervose è evidente. La dura madre si unisce all’epinevrio senza interruzioni. Lateralmente, l’aracnoide accompagna le radici nervose all’interno della guaina durale.
Vista laterale del forame  intervertebrale con elementi arterovenosi, adiposi e fibrosi
Nell’area dell’angolo radicolare, lo spazio subaracnoideo scompare mentre pia madre e aracnoide si uniscono, quindi si fondono con la guaina nervosa stessa (Figure 2-22 e 2-23).
Secondo Rabischong, vi è un “rivestimento ammassato” lungo l’epinevrio da un dato spazio connettivo. Questo spiega come un liquido introdotto nello spazio subaracnoideo si diffonda in tutta la guaina del nervo. Il riassorbimento del CSF avviene a livello di questo ammasso connettivo, che completa il riassorbimento effettuato dalle granulazioni aracnoidali, assicurando il ricircolo completo del CSF quattro volte al giorno. Tuttavia, il processo è di diffusione e circolazione indotta dalla corrente, simile al sistema ventricolare encefalico.
Fig 2.22 Organizzazione delle  meningi spisnali - Fig 2.23 Particolare del doppio ammasso  leptomeningeo

Radici nervose
Le radici hanno origine nei solchi laterali del midollo spinale. Le radici anteriori hanno un’origine comune, mentre quelle posteriori derivano da una serie di quattro-otto radicole che poi si riuniscono a formare uno o più fascicoli radicolari. L’orientamento delle radici segue la sfasatura progressiva dei livelli dei mielomeri. Sotto il cono midollare, il canale vertebrale è occupato esclusivamente dalle radici lombosacrali verticali, che si uniscono insieme come cauda equina intorno al filo terminale. Le radici dell’area cervicale sono leggermente oblique.
Orizzontalmente, l’orientamento varia anche secondo il segmento vertebrale. Questi orientamenti condizionano la statica e la dinamica di radici e nervi a diversi livelli. Le radici lombosacrali verticali subiscono la maggior parte della tensione applicata dal PCT.
Lo studio della mobilità delle radici rivela l’esistenza di due compartimenti distinti: intraspinale ed extraspinale. Le inserzioni foraminali costituiscono una barriera tra i due compartimenti, in modo tale che i movimenti applicati a uno non sono percepiti dall’altro. Le barriere fibrose arrestano il movimento applicato al nervo spinale, all’esterno del forame intervertebrale. Il forame intervertebrale sembra fungere da barriera principale rispetto alla tensione esercitata dall’esterno del canale vertebrale. De Peretti ha dimostrato che nervi e radici, sottoposti a una trazione significativa, mostrano una mobilità trascurabile. I risultati dei test di trazione dinamometrica sono riprodotti nella Tabella 2-3.
Durante il movimento vertebrale, flessione e flessione laterale sottopongono il PCT a uno sforzo e creano una tensione che agisce sulle radici nervose. La tensione fisiologica massima subita dalle radici lombari è pari a – 100 g. Pensiamo a cosa potrebbe significare per un nervo composto da radicole. Questi risultati implicano che durante i normali movimenti vertebrali e pelvici, la tensione applicata alle radici lombari non produce una significativa mobilità nervosa al di fuori del forame intervertebrale. Ciò conferma la resistenza delle inserzioni foraminali alla tensione di debole intensità, e dimostra la necessità di un certo gioco fisiologico a disposizione delle radicole.
Forze di trazione significative possono agire sul forame intervertebrale in aggiunta allo stiramento concentrato sulle guaine nervosa e durale. La protezione dei nervi è consentita principalmente da tre fattori:

  1. il normale gioco delle radici attraverso la dura madre, che impedisce il prodursi di tensione indipendente dal movimento;
  2. il compartimento idraulico creato dal CSF;
  3. l’aggregazione del tessuto adiposo locale e dei plessi venosi epidurali.
Tabella 2-3: Rapporto trazione/spostamento delle radici lombari (da De Peretti et al.)
Trazione Spostamento (in mm)
50 0
500 0,5
1000 1
500 0,5
1500 1
2000 2
2500 2,5
3000 3

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