Baby body language

di Rosella Denicolò

(Articolo gentilmente concesso dalla Scuola In Flow, tratto dal sito www.craniosacralebiodinamica.it)

Baby Body Language è il modo in cui parlano i neonati per raccontarci la storia della loro nascita. Se impariamo ad ascoltare questo linguaggio fatto di gesti, di pianti, di vagiti, possiamo accogliere ciò che è rimasto in sospeso e ricominciare da capo. Con una nuova storia, tutta da narrare.

Mi sembra di entrare in una favola mentre salgo lungo questa strada che costeggia muri altissimi di roccia, che ogni tanto sembra finire e invece continua e mi fa perdere le tracce del mondo. Il Kushi Ling, è un centro di meditazione buddista. Faccio appena in tempo a bere un tè verde e suona il gong di inizio. Il seminario di Craniosacrale Biodinamica sulla nascita è condotto da Remo Rostagno che dirige la scuola di In Flow. Remo Rostagno è anche un danzatore e introduce il tema della nascita attraverso il movimento.

Quali movimenti fa il bambino per nascere? Qual è il suo programma motorio innato?

Nella sala siamo in venti, per lo più donne. Teniamo una soffice palla in mano. “Immaginate che sia la testa e, il tappo, il naso del bimbo. La palla scende e intanto ruota con il naso verso di noi, va in flessione e poi in estensione e poi si rigira di nuovo”. Ripetiamo più volte la sequenza con le mani. Poi ci stendiamo sul tappetino e ripetiamo con tutto il corpo le stesse rotazioni, flessioni, estensioni. Mi piace pensare che la prima forma di movimento è una spirale, il simbolo del vivente. Una ragazza del gruppo riferisce di aver provato una strana sensazione: “Era come se il mio corpo conoscesse già questi movimenti”, racconta. “Allo stesso tempo ero inquieta, e nella rotazione mi sono persa. Non sapevo più se andare a destra o a sinistra. E addirittura dov’era la destra o dov’era la sinistra”.  Rostagno spiega che la Craniosacrale Biodinamica è un approccio delicato di lavoro corporeo che trae origine dall’osteopatia. L’origine di questo lavoro sulla nascita si basa dunque sulla conoscenza dell’anatomia e su una capacità di contatto molto raffinata. A questo si aggiunge una componente esperienziale che permette di accedere alle memorie inscritte nei nostri tessuti. Alle cose cioè che il corpo sa e che noi non possiamo più sapere, perché sono preverbali. E’ grazie proprio a queste memorie che possiamo lavorare per risolvere traumi e problematiche che hanno origine nella nostra  nascita. Cosa significa allora questo disorientamento di cui parlava la partecipante? Riguarda la sua nascita?

Baby Body Language

Il lavoro della Craniosacrale sulla nascita si è sviluppato soprattutto negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Matthew Appleton è psicoterapeuta e operatore craniosacrale di Bristol, lavora da 15 anni con i bambini e con gli adulti su questo tema. “La nascita è sempre una esperienza intensa, con un contenuto emozionale inconscio che ci può  accompagnare per tutta la vita”, spiega. “E’ una esperienza che può essere dolorosa, perché la testa del nascituro è più grande di un centimetro rispetto alla pelvi. Per questo il bambino deve ruotare durante il parto. Nessun altro animale ha bisogno di farlo. Ma il problema non è tanto il dolore in sé, ma il fatto che questo dolore non trova sempre una sufficiente empatia. Il bambino prova emozioni e sa di star vivendo una situazione molto impegnativa. Troppe persone, operatori sanitari, dottori, invece non sono consapevoli della consapevolezza del bambino che, di quella esperienza conserva ricordi, inconsapevoli alla mente ma che si fissano con chiarezza nel suo corpo. Lo vediamo nel lavoro clinico: quando creiamo uno spazio di ascolto queste memorie riaffiorano. Per questo impariamo il Baby Body Language, a leggere il movimento del bambino e a rispondere alle sue parole motorie. Un giorno sono arrivati dei genitori con un neonato che scuoteva continuamente la testa. “Dice sempre no”, mi dicono allarmati. In realtà non sta dicendo “no”. Ci sta mostrando come la testa ha cercato di muoversi per passare attraverso la pelvi. Ho appoggiato la mano su una tempia e dopo poco il bambino ha incominciato a spingere con la testa. Mi stava raccontando la sua storia e approfittava dell’ascolto per poter completare quello che aveva bisogno di fare”.

“Completare” è una parola chiave in tutti gli approcci somatici al trauma. Anche secondo il metodo Somatic Experiencing, nel trauma c’è sempre un’ azione che non si è potuta esprimere e cerca di completarsi. “Quando il bambino arriva in studio mi racconta attraverso il corpo la storia della sua nascita”, continua Appleton. “Un altro esempio: durante il parto alla mamma  avevano somministrato un forte analgesico. Osservo il bambino nella carrozzina. Si muoveva ripetendo la sequenza del parto e a un certo punto ha avuto  una sorta di collasso in cui riviveva il momento in cui il farmaco aveva cominciato a intorpidire le sue spinte. Ho appoggiato una mano sul suo ombelico e l’altra sui piedi. Ha iniziato a spingere forte con le gambe e i piedi. Ecco come fanno i bambini a buttare fuori da sé qualcosa che non gli serve. Il cambiamento è evidente: diventano, più soffici, più tranquilli”.

I quattro stadi della nascita

Il lavoro sulla nascita ha un effetto anche sulle eventuali conseguenze emotive. “Dopo cinquant’anni di ricerca abbiamo individuato alcune relazioni tra gli eventi traumatici legati alla nascita e le loro proiezioni nella vita relazionale”, spiega Graham Kennedy terapeuta craniosacrale di Londra.

William Emerson e Franklyn Sills, due terapeuti che hanno studiato la nascita dal punto di vista del nascituro e delle sue risorse intrinseche, hanno descritto il processo in quattro stadi.

Nel  primo il bambino inizia a discendere attraverso la cavità pelvica. “Se viene sopraffatto da una pressione troppo intensa, potrebbe a ricreare quella pressione”, spiega ancora Kennedy. “E condizionare il modo in cui, da adulto, si relaziona allo stress e alla pressione quando non c’è via d’uscita, o su come gestirà i cambiamenti”.

Nel secondo stadio il bambino ha bisogno di ruotare la testa  per attraversare la piccola pelvi. Deve orientarsi e trovare un bilanciamento. Se questa fase viene ostacolata dall’assunzione di anestetici o dall’epidurale, la persona può incontrare difficoltà a orientarsi nel mondo, a prendere decisioni, a trovare una direzione.

Nel terzo stadio il bambino naviga fino alla bocca dell’utero. Temi ricorrenti: come completiamo un progetto, come ci presentiamo nel mondo e come gestiamo la fatica.

Nel quarto stadio il neonato viene accolto. E’ la fase in cui possono essere necessari interventi strumentali, come forcipe e ventosa che hanno un forte impatto sulla psicofisiologia. In questi casi il bambino non ha potuto completare il percorso e ha avuto bisogno di qualcuno che lo facesse per lui. Ma altri problemi sorgono da come si instaura il legame con la mamma. Quello che gli psicoanalisti chiamano il bonding e stile di attaccamento.