Doglia

di Clara Scropetta

Dolore?
Dolore fu quando a sedici settimane di gravidanza nacque il mio primo bambino, con un aborto su indicazione medica, provocato dagli ovuli di prostaglandina, io perduta nel mio corpo sconquassato e passivo; dolore fu soprattutto quando dopo tutta una notte e una mattina ancora nulla successe e un medico molto indelicato decise di farmi portare in “sala parto” per sottopormi ad una ispezione vaginale di “controllo”. Sollievo fu per il buon cuore dell’infermiera che mi tenne la mano e per la sua compassione nel concedermi alcune gocce di Valium, dopo.
Anni dopo nacque Ephrem e no, non provai dolore.
A chi mai sarà venuto in mente di ricorrere a questa parola inappropriata, limitativa, fuorviante, perfino denigrante verso l’incantesimo della nascita?
Potere volere lasciarsi precipitare
nel più profondo
nel più vasto
nel più inafferrabile
e COMPRENDERLO.
Aprirsi a questa dimensione dell’essere non è ovvio, banale o veloce, pur essendo di per sé semplice.
Richiede una resa incondizionata.
Una fiducia smisurata.
Il rispetto dei tempi necessari.
Celebrazione e rito.
E allora diventi mare,
diventi luce,
si perdono i confini tra te e il resto.
Comprendi il tutto in te e comprendi come del tutto sei una parte.

No. non provai dolore, incontrai la dea e da allora la custodisco amorevolmente.
Fu lei a rendermi sorda alle voci attorno a me che insistevano su dolore, paura, pericolo.
Fu lei a rendermi immemore delle esperienze della mia stessa madre, che tanto soffrì da non poterne parlare ancora adesso.
Fu lei a rendermi percettiva e ricettiva.
Fu lei ad iniziarmi alla fiducia e alla conoscenza.
Così accadde che accolsi l’inizio del travaglio con gioia e curiosità, con la meraviglia di un bimbo che vede per la prima volta un fiore.
Onde delicate e caute mi sommersero, di tanto in tanto irregolari o accavallate tra loro, a tratti incerte, titubanti o maldestre – esitazionr del perineo a distendersi.
Ma le onde acquistarono forza, e io assieme a loro, e ritrovai la mia voce.
No, non provai dolore, estasi fu, io il mio sposo e questo piccolo essere uniti sotto la luce della luna.

E poi nacque Luna. Silenziosa e discreta procedette la dilatazione. Possenti le onde che quindi mi investirono, una vocina turbata dentro di me “ce la farò?” La zittii, mi raddrizzai mi isolai completamente per godere fino in fondo della POTENZA della vita di cui in quel breve, così breve lasso di tempo ero portavoce…e no, non provai dolore, tutto il tempo necessario si annullò in un minuscolo attimo.
Non riuscii a saziarmi della magia e della maestosità dell’evento in cui ero immersa.
No, non fu dolore; estasi fu.

Spesso, troppo spesso succede che questo processo meraviglioso diventi una valvola di sfogo per la sofferenza che ci portiamo dentro, personale, familiare, generazionale, antica.
Antica.
E anche di questa sofferenza che fa tanto male in fondo dovremmo rallegrarci, perché mentre la viviamo ce ne stiamo liberando, e congratularci con i nostri alleati, quei medici che ci aiutano a soffrire il più possibile…o forse che?
Forse che sarebbe meglio alleggerirci della nostra sofferenza in altro modo? Di guarirla per davvero, riconoscendo pienamente la valenza sciamanica dell’esperienza del parto?
Il parto è uno stato alterato di coscienza e di connessione con il divino il cui potere di guarigione è impressionante.
Onoriamolo.
Celebriamolo.
Troviamo il coraggio di accantonare la paura, figlia della violenza e madre della sofferenza!
Saranno le endorfine ad occuparsi del mero dolore fisico, ad ubriacarlo e a farci volare.
Nel processo di separazione tra madre e bambino accantonato il dolore al suo giusto posto mi sembra sia utile “faire le deuil”, ovvero elaborare il “lutto”, accettare il cambiamento, vivere appieno la piccola morte e la piccola rinascita; magari deuil e doglia non si assomigliano solo per caso…

Clara scropetta – mamma e scrittrice, si dedica a diffondere tutte le informazione a volte poco note che la vitta a messo nel suo camino