Si può cambiare il carattere?

Possibilità e limiti della psicoterapia corporea

di Maria Luisa Aversa

 

Carattere è una parola a tutti familiare e che ricorre comunemente nel nostro linguaggio: allocuzioni del tipo ” non ha carattere, ha un brutto carattere, carattere difficile, carattere intrattabile, ecc.” ci sono certamente familiari così come l’espressione “è il mio carattere “nel senso “sono fatto così.”

James Hillman, in un interessante libro pubblicato da Adelphi nel ’ 99, scrive: “il carattere è andato plasmando la nostra faccia, le nostre abitudini, le nostre amicizie….influisce sul nostro modo di dare e di ricevere, sui nostri amori e sui nostri figli. Torna a casa con noi la sera e può tenerci svegli a lungo la notte.”

Io aggiungerei: il nostro carattere ha plasmato il nostro corpo, ha disegnato le nostre rughe, determina il nostro modo di camminare e di sederci, di parlare, il modo di guardare e di vedere noi stessi, gli altri e il mondo che ci circonda. E.più avanti, Hillman ci fa riflettere sul fatto che il carattere è quel qualcosa che mi permette di riconoscermi come ME anche e nonostante i cambiamenti fisici, relazionali e ambientali che avvengono nella vita di ognuno; e individua questo qualcosa con ciò che già Aristotele aveva chiamato PSYCHE’ – ANIMA , affermando: ” L’anima è la forma del corpo.

C’è un’altra osservazione di Hillman che può aiutare a comprendere meglio l’argomento che propongo stasera alla vostra riflessione e che spero possa interessarvi e stimolare un dibattito e un confronto di opinioni.

L’osservazione riguarda la molteplicità degli aspetti di una persona, afferma.cioè, che è più corretto parlare di caratteri e non di carattere, richiamando la molteplicità e la complessità di quelle figure che la psicologia definisce personalità parziali e noi, psicologi ad indirizzo corporeo, struttura caratteriale.

Cosa intendiamo quindi noi per carattere o meglio per struttura caratteriale?

la somma degli atteggiamenti, comportamenti, credenze e attitudini che un individuo sviluppa tipicamente per adattarsi all’ambiente nel quale nasce. Questo adattamento comporta la rinuncia o l’indebolimento degli schemi affettivi motori che se agiti, minacciano la sopravvivenza in una situazione ambientale affettivamente carente o minacciosa e non in grado di accogliere e rispettare i diritti fondamentali dell’essere vivente e svilupparne più adeguati alla situazione. Per schemi affettivi motori intendiamo quegli schemi ( o sequenze ) di movimenti.sia innati che appresi, che contengono un tono affettivo ed anche cognitivo.Già Piaget aveva chiamato “schemi sensomotori” quei movimenti che permettono al bambino di conoscere l’ambiente che lo circonda ricavandone anche informazioni sensoriali e aveva sostenuto che l’apprendimento dipende dalla possibilità di far emergere e sviluppare tali schemi in modo che .con lo sviluppo del pensiero.diventino concetti e immagini mentali. Piaget quindi considerò l’aspetto motorio e l’aspetto sensoriale e cognitivo; ma se pensiamo alle prime esperienze di conoscenza che il bambino fa degli esseri umani che lo circondano, è evidente che è altrettanto importante la componente affettiva dell’esperienza stessa.. Possiamo affermare , quindi, come già hanno fatto la Mahier, Stem e, non ultimo Downing, che in ogni esperienza, anche di un bambino molto piccolo, dobbiamo considerare in un unico processo, che chiamiamo appunto schema affettivo motorio, l’aspetto motorio, l’aspetto sensoriale quello affettivo e quello cognitivo.Considero importante chiarire questo concetto perché nell’esperienza terapeutica con adulti risulta evidente la relazione tra l’assenza o lo scarso sviluppo di molti di tali schemi e l’incapacità del paziente di esprimere e sviluppare al meglio le sue potenzialità e di superare la sua situazione di sofferenza .Questa relazione risulterà più evidente via via che andrò avanti nel mio discorso.

Se quindi un bambino vive in un ambiente in cui i suoi primi schemi affettivi motori sono inibiti o connessi a sentimenti negativi, per salvaguardare la sua necessità di esistere deve “rispondere” all’ambiente con “aggiustamenti” del suo naturale movimento di espansione/ritiro tipico della pulsazione di un organismo vivente sano.

Questi aggiustamenti affettivi e motori sono funzionalmente identici all’armatura carattero-muscolare definita e descritta da W.Riech e comprendono vari tipi di difésa corporea individuati dalla più recente ricerca della Psicologia Somatica, primo tra tutti una severa limitazione della funzione respiratoria.

La struttura del carattere che ne risulta è unica ed è una strategia efficace in età infantile ma tende a cristallizzarsi e a preservare le condizioni della propria necessità di esistere. Vale a dire che ciascuno di noi, inconsciamente, tende a riprodurre intorno a sé, in età adulta, le condizioni carenti e minacciose che resero necessaria la struttura caratteriale. Questa realtà fu definita da Freud “istinto di morte” e da Reich “pulsione secondaria”.

A. Lowen proseguendo il lavoro di Reich individuò e descrisse 5 tipi di strutture caratteriali correlate a cinque diritti fondamentali, negati o non sufficientemente rispettati dai genitori.

I cinque tipi di strtture caratteriali
Diritto negato Tipo caratteriale
ad esistere schizoide
ad avere bisogno orale
ad essere autonomo psicopatico
ad imporsi masochista
ad amare sessualmente rigido

Già W. Reich aveva individuando il carattere come un ostacolo al processo analitico Freudiano, affermando che l’analisi sarebbe stata senza risultato se non fosse stata preceduta da un’appropriata analisi del carattere e senza la comprensione da parte del paziente della relazione tra carattere e sintomo: ossia che il sintomo è il risultato del suo modo di essere nel mondo.

Perché una persona decide ad un certo punto della sua vita di chiedere aiuto e di iniziare una psicoterapia?

  1. Sintomi egodistonici  (in presenza di )
  2. Scompenso dell’equilibrio nevrotico, (rappresentato dal quarto strato) come conseguenza di eventi esterni (lutti, malattia, separazioni ecc.) o di eccessivo stress emotivo, dovuto a conflitti irrisolti.
  3. Nessuno in altre parole, inizia una psicoterapia per la consapevolezza della sua struttura caratteriale nevrotica (egosintonica) “Io sono fatto così”.

In definitiva si decide di chiedere aiuto e di iniziare una psicoterapia, quando lo stato di sofferenza e di angoscia non è più sopportabile e non si riesce più ad agire, a muoversi in nessuna direzione e le capacità relazionali e lavorative sono seriamente compromesse.

(Es.: nei casi depressivi più gravi non si esce più di casa, non ci si lava, viene inibita qualsiasi anche più semplice azione.)

Per comprendere il nesso tra depressione e inibizione dell’azione guardiamo insieme lo schema preso dal libro “La psicoterapia del corpo” di. D. Boadella e J. Liss .Questi autori hanno elaborato un modello di psicoterapia corporea che hanno chiamato “Psicologia Sistemica” .

Psicologia Sistemica

In questo schema, Boadella e Liss, utilizzando anche i risultati degli studi di H. Laborit sugli effetti neuro/immuno/ormonali del Sistema di Inibizione dell’Azione (SIA), rappresentano la condizione depressiva.

Lo schema evidenzia come il SIA è il risultato e l’origine di un sistema di effetti feedback tra le varie componenti.

In questo schema .viene rappresentato il circolo vizioso.

Circolo vizioso

E, nel successivo la possibilità di invertire il processo in modo da renderlo virtuoso utilizzando lo stesso effetto feedback.

effetto feedback

Perché la psicoterapia sia efficace, è necessario che la persona che da aiuto sia capace di ascolto empatico e di accettazione in modo da permettere la costruzione di una relazione diversa da quelle esperite nell’infanzia e reiterate nel proprio copione di vita.

Circolo virtuoso

Sappiamo che ogni modello di psicoterapia umanistica privilegia l’uno o l’altro di tali livelli di esperienza anche se non prestano molta attenzione al livello corporeo.

(Es. approccio Rogersiano, Gestaltico, Junghiano….); ovvero che essi possono essere privilegiati in fasi diverse della terapia.

Gli analisti ad indirizzo corporeo, e in particolare gli analisti bioenergetici.invece, pur lavorando per l’integrazione e il potenziamento di tutti i livelli di esperienza, considerano di primaria importanza il livello corporeo, in particolare la respirazione.Fespressione somatica delle emozioni e il lavoro sul grounding, cioè sulla capacità di essere radicati nella realtà del presente ( i piedi per terra), e anche del proprio passato; e sul facing cioè la capacità di confrontarsi.far fronte.andare verso.ed hanno elaborato, a partire da Lowen, molte tecniche appropriate allo scopo.

  1. Il superamento dei sintomi e la modificazione delle condotte inadeguate alla soluzione dei problemi.
  2. Lo sviluppo ottimale delle potenzialità e delle risorse del paziente (quello che c’è) in relazione agli obiettivi del paziente stesso .
  3. Recuperare e sviluppare gli schemi affettivi motori inibiti o rimossi nell’infanzia e acquisire la capacità di individuare ed usare le risorse personali ed ambientali disponibili, per provare più pienezza e piacere nel proprio essere vivi nel mondo.
  4. Recuperare la potenzialità di piacere sessuale e la capacità di connetterlo
  5. Sperimentare e sviluppare la capacità di integrare pensiero-azione, ed emozione; presente e passato; mente e corpo. Come ho già ricordato, A. Lowen definisce questa capacità grounding nella sua accezione più ampia.

all’esperienza affettiva.
Fin qui abbiamo visto il processo della terapia come un viaggio ben organizzato, con una meta definita , con un guidatore (T.) esperto e disponibile e un passeggero (P) motivato e collaborativo.

La realtà non è così semplice e la terapia/viaggio non è lineare e senza ostacoli.

Consideriamo alcuni degli ostacoli principali: i primi (A) riguardano il paziente, i secondi (B) il terapeuta La situazione che al contrario favorisce il processo ed aiuta il paziente ad individuarsi ed a separarsi è una forte alleanza, continuamente rinnovata e verificata, che si costruisce a partire dai primi incontri e che si basa essenzialmente sull’accoglienza, sull’assenza di giudizio, sulla capacità di ascolto, sulla consapevolezza del terapeuta dei propri limiti e sulla capacità di essere in contatto con le sue sensazioni ed emozioni .In altre parole con la costituzione e il mantenimento di un setting sicuro che aiuta il paziente a fidarsi e ad affidarsi.

Mi piace sottolineare che il terapeuta è consapevole della difficoltà di tale alleanza e delle resistenze del paziente ma è anche consapevole che tale alleanza è possibile, già all’inizio, con quella parte del paziente che più o meno consapevolmente vuole invertire il funzionamento del sistema di inibizione dell’azione e vuole produrre cambiamenti. Cioè con quella parte che, nonostante tutto, ha portato quella persona lì nel suo studio.

Per concludere, mi sento di affermare, tornando alla nostra domanda iniziale, che anche con una sufficientemente buona terapia, non si cambia il carattere, nel senso di diventare un’altra persona; ma è possibile rendere consapevoli e modificare quei “caratteri” , quelle risposte difensive che eroicamente e creativamente, abbiamo adottato nella prima fase della nostra vita e che sono diventate ” copioni di vita” e che ora, da adulti limitano fortemente la capacità di provare piacere, di sentirsi vivi; di confrontarsi e sopportare realisticamente il dolore e il male che comunque incontriamo nella nostra vita e in quella degli altri. Una buona esperienza terapeutica aiuta anche a vivere la nostra spiritualità e a dare significato alla vita; a godere della nostra fisicità e della fisicità dell’universo. E fornisce strumenti che possono far continuare il processo di crescita anche dopo la fine del rapporto terapeutico.

Io credo fermamente che tutti abbiamo il diritto di amare e di amarci per quello che siamo e non per quello che avremmo voluto essere o che altri hanno voluto che fossimo

E allora: si può cambiare il carattere? La mia risposta è SI, nel senso che ho cercato di spiegare; sono sicura cioè che pur restando la stessa persona si può essere molto di più.

VOI CHE NE PENSATE ?