(tratto dal libro “Meridiani Miofasciali” di Thomas W. Myers)
Cominciamo con un esercizio d’immaginazione innescato da questa domanda: “Quali sistemi fisiologici del corpo, se potessimo magicamente estrarli intatti, ci mostrerebbero l’esatta forma corporea interna ed esterna? In altre parole, quali sono veramente i sistemi olistici?”.
Immaginiamo di poter magicamente rendere ogni parte del corpo invisibile, tranne che per un singolo sistema anatomico, così da poter vedere quel sistema nello spazio per come si muove nella vita. Quali sistemi ci mostrerebbero l’esatta e completa forma del corpo in questione?
La rappresentazione di Vesalio di uno scheletro in contemplazione è un tentativo familiare (e tra i primi) di isolare un sistema e presentarlo dal vivo (Fig. 1.16). Immaginando questa stessa rappresentazione in una stanza piena di gente, una festa per esempio, vedremmo un gruppo di scheletri impegnati a parlare, mangiare e ballare. In questo modo si evidenzierà la forma generale di ciascun corpo e qualcosa delle relative attitudini, così come Vesalio ci ha mostrato egregiamente, ma molti dettagli andranno necessariamente persi. Al di là di una bocca chiusa o aperta avremmo una piccolissima idea dei cambiamenti dell’espressione facciale. Potremmo essere in grado di distinguere una pelvi maschile da una femminile, sebbene la sovrapposizione tra le due renderebbe difficile perfino l’identificazione del genere. Potremmo riconoscere i cercatori di perle o i cantanti d’opera attraverso le grandi gabbie toraciche, oppure i depressi cronici e i sofferenti di asma dalle caratteristiche forme della cassa toracica. Ma, a meno che non fossimo degli esperti di medicina legale per cui ci verrebbe permessa un’osservazione da vicino, non sapremmo certamente in grado di distinguere chi è grasso o magro, muscoloso o sedentario. Potremmo essere in grado d’indovinare di chi si tratta, ma sarebbero necessarie le cartelle odontoiatriche per un’identificazione priva di dubbi. Quindi il sistema scheletrico non è un buon candidato per essere un sistema “olistico” per come lo abbiamo definito.
Allo stesso modo se potessimo improvvisamente isolare il sistema digerente, facendo magicamente “scomparire” tutto eccetto il tratto digerente e gli organi a esso associati, non avremmo modo di vedere il corpo come un intero (Fig. 1.17).
Potremmo, con un po’ di pratica essere in grado di leggere una buona parte dello stato emozionale della persona dai ritmi peristaltici e attraverso altri movimenti, ma questa parte del corpo, per quanto antica, ci rivela soltanto una parte del quadro, confinata com’è nella cavità addominale. Che dire della pelle, il nostro singolo organo più esteso? Se si eliminasse tutto dalla vista tranne le pelle, noi, in effetti, vedremmo la forma esatta del corpo e riconosceremmo facilmente i nostri amici e i loro sorrisi, non è vero? Ma la pelle da sola, ci farebbe vedere solo la parte esterna del corpo, fornendoci solo un involucro vuoto; non saremmo in grado di vedere il lavorio interno. La nostra ricerca è volta a un sistema che ci mostri tutto il corpo, le nostre forme interne insieme a quelle esterne. Una soluzione accattivante, in questo periodo in cui si parla molto di AIDS e di altre malattie immunitarie, potrebbe essere il sistema immunitario.
Se il sistema immunitario fosse un sistema fisico, questa sarebbe certamente una buona risposta, ma il riscontro ci mostra che non c’è un corrispettivo anatomico che possiamo identificare propriamente come sistema immunitario. Piuttosto, una funzione immunitaria pervade ogni sistema, senza risiedere in un particolare tessuto o area, coinvolgendo però l’intera matrice cellulare e intercellulare. Risulta che vi siano tre, e solo tre, risposte positive alla nostra domanda in termini anatomici palpabili: il sistema nervoso, il sistema circolatorio e il sistema fibroso (fasciale) – un idea che ammettiamo essere talmente poco originale, dato che Vesalio già nel 1548 rappresentò alcune versioni di ognuno di essi. Esamineremo questi sistemi uno per uno (pienamente consapevoli che sono tutti sistemi fluidi, che vengono separati in modo incompleto e che non funzionano senza la presenza degli altri due) prima di andare a evidenziarne le similitudini e le particolarità, speculando sul loro posto nell’esperienza somatica della coscienza.
La rete neurale
Se potessimo rendere invisibile tutto ciò che contorna il sistema nervoso lasciandolo in posizione eretta così come avviene nella vita (una richiesta esorbitante anche per la magia, considerando la fragilità del sistema nervoso), vedremmo la forma esatta del corpo nella sua interezza, completa di tutte le variazioni individuali (Fig. 1.18).
Vedremmo certamente il cervello, che Vesalio inesplicabilmente omise, e il midollo spinale che egli lasciò ingabbiato nelle vertebre. Tutti i principali tronchi dei nervi spinali e cranici si ramificherebbero in rametti sempre più piccoli fino a raggiungere i minuscoli viticci che si insinuano in ogni parte della pelle, nel sistema locomotore e negli organi. Vesalio presentò solo i tronchi dei nervi principali, essendo i più piccoli troppo delicati per i suoi metodi.
Una versione più moderna e dettagliata di questo metodo, sebbene ancora rappresentata soltanto attraverso i principali tronchi nervosi, si può vedere sul sito www.alexgrey alla voce Sacred Mirrors Art work.
Qui possiamo vedere chiaramente ogni organo della cavità ventrale nel trasparente sistema autonomo che si protende dai tronchi simpatici e parasimpatici. Il sistema digestivo è circondato dal plesso della sottomucosa, che possiede neuroni sparsi lungo i nove metri del sistema digestivo, numerosi quanto quelli presenti nel cervello. Il cuore sarebbe particolarmente vivido con i fasci di nervi che lo tengono in funzione.
Naturalmente questo sistema non è egualmente distribuito in tutto il corpo; la lingua e le labbra hanno un’innervazione circa dieci volte più densa rispetto alla parte posteriore delle gambe.
Le parti più sensibili (ad esempio le mani, la faccia, i genitali, i muscoli dell’occhio e del collo) mostrerebbero una maggiore densità nella nostra trasparente “persona neurale”, mentre i tessuti comunque densi delle ossa e della cartilagine verrebbero rappresentati in modo più rado. Tuttavia, nessuna parte del corpo, tranne i lumi aperti del sistema circolatorio, respiratorio e digestivo, resterebbe esclusa.
Se il vostro sistema nervoso funzionasse a dovere, non vi sarebbe nessuna parte di voi che non potreste sentire (coscientemente o incoscientemente), quindi tutto il corpo verrebbe rappresentato in questa rete. Se vogliamo coordinare le azioni di trilioni di entità quasi indipendenti, abbiamo bisogno di questo sistema informativo che “ascolta” ciò che sta avvenendo nell’organismo, soppesa la totalità delle numerose impressioni separate e produce veloci risposte chimiche e meccaniche coordinate alle condizioni sia esterne che interne. Quindi, ogni parte del corpo ha bisogno di essere in stretto contatto con i tentacoli a fuoco rapido del sistema nervoso.
L’unità funzionale di questo sistema è il singolo neurone, e il suo centro fisiologico è chiaramente il plesso più ricco di neuroni al suo interno: il cervello.
La rete fluida
Allo stesso modo, se rendessimo invisibile tutto tranne il sistema vascolare, ancora una volta avremmo una rappresentazione trasparente in grado di mostrarci la forma esatta del corpo in questione (Fig. 1.19). Al centro la pompa incessante del cuore, le cui principali arterie e vene vanno e vengono dai polmoni, e poi l’aorta e le arterie che vanno verso gli organi e a ogni parte del corpo attraverso l’ampia rete dei capillari.
Sebbene il concetto si possa chiaramente osservare nel precoce tentativo di Vesalio, notate che nella sua concezione le vene e le arterie non si raccordano le une con le altre – altri due secoli sono stati necessari prima che William Harvey scoprì i capillari e la natura chiusa della rete circolatoria. Un resoconto completo mostrerebbe circa 100.000 km di reti capillari, mostrandoci un altro “corpo vascolare” trasparente, completo fino all’ultimo dettaglio (Figg. 1.20-1.22, vedi il modello completo del sistema su www.bodyworlds.com). Se includessimo la circolazione linfatica e cerebrospinale nella nostra immagine del sistema vascolare, il nostro “umano fluido” sarebbe ancora più completo, fino alle più sottili tonalità di ogni elemento, tranne i capelli e qualche vuoto lasciato dalle parti non vascolarizzate della cartilagine e dell’osso denso.
In qualunque organismo pluricellulare – e questo è particolarmente vero per quelli che sono strisciati fuori sulla terra asciutta – le cellule interne, che non sono in diretta comunicazione con il mondo esterno, dipendono dal sistema vascolare per portare sostanze chimiche nutrienti dalla periferia dell’organismo verso il centro, e per portare sostanze chimiche altrimenti tossiche dal centro alla periferia, dove possono essere disperse. Gli organi della cavità ventrale – polmoni, cuore, sistema digerente e reni – sono designati a fornire questo servizio alle cellule interne del corpo. Per sostenere un “mare interno” completo, comprensivo di correnti nutrienti e ripulenti, la rete di capillari deve penetrare nelle immediate vicinanze della maggior parte di qualsiasi tipologia di singola cellula, in questo modo è in grado di consegnare le “merci” che vengono diffuse attraverso le pareti dei capillari. Le lesioni della cartilagine e dei legamenti sono più lente a guarire proprio perché le relative cellule si trovano così lontane dalle coste di questo mare interno da dover dipendere dalle infiltrazioni che provengono da una maggiore distanza.
La rete fibrosa
Non sorprende, considerato il nostro argomento, che il sistema fasciale sia la terza rete di comunicazione lungo tutto il corpo; la sola sorpresa riguarda la poca importanza attribuita a questa rete che è stata riconosciuta e studiata come un tutto solo in tempi recenti (Fig. 1.23).
Se dovessimo rendere invisibili tutti i tessuti del corpo tranne gli elementi fibrillari del tessuto connettivo – principalmente collagene, ma anche con l’aggiunta di un po’ di elastina e reticolina – vedremmo tutto il corpo, interno ed esterno, con una forma simile a quella rappresentata tramite la rete neuronale e vascolare, sebbene le aree di densità sarebbero ancora una volta differenti. Ossa cartilagini, tendini e legamenti risulterebbero fibre di uno spessore simile al cuoio, cosicché l’area intorno a ciascuna articolazione verrebbe molto ben rappresentata. Ciascun muscolo avrebbe questo rivestimento e si troverebbe immerso in una rete simile allo zucchero filato che circonderebbe ogni cellula muscolare e fascio di cellule (vedi Fig. 1.1 B). La faccia sarebbe meno densa, così come gli organi spugnosi tipo milza e pancreas, sebbene anche questi sarebbero circondati da uno o più involucri più densi e robusti. Benché sia organizzata in piani con più ripiegamenti, sottolineiamo ancora una volta che nessuna parte di questa rete è distinta o separata dall’intera rete; ogni sacca, stringa, foglietto o rete di tessuto, è collegata a ciascuna altra, dalla testa ai piedi. Il centro di questa rete sarebbe il nostro centro meccanico di gravità, collocato in un corpo eretto nel mezzo della parte inferiore del ventre, conosciuto come “hara” nelle arti marziali.
L’affermazione a caratteri cubitali è che la rete fasciale, come la rete neurale e vascolare, permea il corpo al punto di essere parte dell’ambiente vicino a ciascuna cellula. Senza il suo sostegno il cervello sarebbe una crema che gocciola, il fegato si spargerebbe nella cavità addominale, e noi finiremmo come una pozzanghera ai nostri piedi. Solo nei lumi aperti del tratto respiratorio e digerente è assente la rete legante, rafforzante, connettente e separante della fascia. Anche nei vasi circolatori, riempiti di sangue circolante, che è in se stesso un tessuto connettivo, esiste in ogni momento il potenziale per formare una fibra nel caso in cui avessimo bisogno di un coagulo (e in alcuni posti non ne abbiamo affatto bisogno, come nel caso della formazione della placca arteriosa).
Non possiamo estrarre un centimetro cubico di carne, lasciando perdere la libbra di Shylock, senza prelevare anche un po’ di questo reticolo di collagene. Qualsiasi tocco più pesante di una piuma entra in contatto con il tono di questa rete, registrandolo consciamente o inconsciamente e influenzandolo qualunque sia la nostra intenzione.
Questa rete onnipresente contiene abbastanza lattice molecolare regolare (vedi Fig. 1.14) da qualificarsi come cristallo liquido, la qualcosa ci invita a domandarci: “Su quali frequenze è sintonizzata “quest’antenna” biologica? E come può essere sintonizzata con uno spettro più ampio di frequenze oppure essere armonizzata al suo interno? Anche se quest’idea può sembrare un po’ stiracchiata, le proprietà elettriche della fascia sebbene siano state prese in considerazione sono state ancora poco studiate fino a oggi, e solo adesso stiamo dando un’occhiata ad alcuni dei meccanismi di questa “sintonizzazione” (pre-stress vedi avanti nella sezione tensegrità).
In contrasto con la rete neurale e vascolare, la rete fasciale non è stata ancora né disegnata né dipinta da nessun artista fino a oggi. La rappresentazione più attenta di Vesalio è la familiare visione del corpo scorticato, che certamente ci fornisce qualche idea sulla grana del tessuto del corpo fibroso, ma in realtà rappresenta la miofascia – muscolo e fascia insieme con una forte enfasi sul muscolo. Vi è un pregiudizio che è stato perpetuato in molte anatomie, comprese quelle oggigiorno più diffuse: la fascia è stata ampiamente rimossa e scartata per dare accesso visivo ai muscoli e agli altri tessuti sottostanti.
Da queste normali immagini sono stati anche rimossi e scartati due importanti strati superficiali fasciali: l’epidermide che fornisce un tappeto sottostante la pelle, e lo strato di grasso areolare ben fornito di globuli bianchi (Fig. 1.24). Se lasciassimo nella figura completa questi strati consistenti, vedremmo l’equivalente animale di una “scorza” di limone con sotto una pellicina sottile. Questa la ragione che ha contribuito all’affermarsi dell’attitudine generale di considerare la rete fasciale come un’impalcatura “morta” intorno alle cellule, che deve essere divisa e buttata via nel cammino verso la “roba buona”.
Per adesso facciamo fatica a rovesciare questa tendenza, a creare un quadro della rete fasciale comprensivo di tutto ciò che è stato rimosso, comprese le fibre muscolari.
Nuovi metodi di rappresentazione dell’anatomia ci hanno portato molto vicino a quest’immagine. Il terapista di Integrazione Strutturale Jeffrey Linn,46 usando il set di dati del Visibile Human Project, ha creato la figura 1.1 C eliminando matematicamente tutto ciò che non è fascia in una sezione della coscia; Egli ci ha fornito la migliore approssimazione che fino a ora possediamo di un “umano fasciale” – sebbene pure questa visione ometta gli strati superficiali della fascia.
Se potessimo immaginare di estendere questo metodo a tutto il corpo, avremmo una visione anatomica completamente nuova. Vedremmo i foglietti fasciali che organizzano i fluidi corporei in aree di flusso. Riconosceremmo i setti intermuscolari per il fatto di essere in realtà fili che sostengono il pupazzo. Le articolazioni rappresentate in modo denso si rivelerebbero come l’organo di tessuto connettivo del sistema di movimento. Ci vorrà un po’ di tempo prima che tali metodi possano essere usati per mostrare l’intero sistema fasciale, perché esso includerebbe (come la Fig. 1.1 C non fa, ma la Fig. 1.1 B sì) il cotone idrofilo che riempie ogni singolo muscolo, così come il sistema perineurale di oligodendrociti, cellule di Schwann, cellule gliali e grassi di accompagnamento che permeano il sistema nervoso, oltre al complesso di involucri, legamenti e ragnatele che contengono, fissano e organizzano, i sistemi degli organi ventrali. Se potessimo poi mettere tale rappresentazione in movimento, vedremmo le forze di trazione e compressione che si spostano attraverso questi strati e piani, incontrandosi e adattandosi in tutti i movimenti normali.
Un pompelmo fornisce una buona metafora per ciò che stiamo cercando di visualizzare (Fig. 1.25). Immaginate di poter magicamente estrarre tutto il succo da un pompelmo senza disturbare la struttura all’interno. Avreste ancora la forma del pompelmo intatta, con la buccia di derma e gli strati areolari, e vedreste tutte le pareti di supporto delle sezioni (le quali, se sezionate risulterebbero essere membrane con una doppia protezione, una metà per ogni sezione, così come i nostri setti intermuscolari). In più sarebbe possibile vedere tutte le pareti trasparenti che separano le singole cellule di succo all’interno di ciascuno spicchio. La rete fasciale ci fornisce lo stesso servizio, con l’unica eccezione che è costituita da collagene flessibile al posto della più rigida cellulosa. Gli involucri fasciali organizzano il nostro “succo” in fasci distinti, resistendo alla chiamata della gravità che lo raccoglierebbe sul fondo. Questa funzione, di dirigere e organizzare i fluidi all’interno del corpo, è primaria per comprendere come la terapia manuale o cinetica di questa matrice possa influire sulla salute.
Quando si fa rotolare un pompelmo sotto la mano prima di spremerlo, si rompono queste pareti e il pompelmo diventa più facile da spremere. Il lavoro fasciale (ovviamente applicato in modo più giudizioso) opera più o meno allo stesso modo nell’uomo, lasciando i nostri “succhi” più liberi di fluire verso le aree altrimenti più “asciutte” della nostra anatomia.
Se aggiungessimo gli elementi interfibrillari o la sostanza fondamentale al nostro essere umano fasciale, il quadro si riempierebbe sostanzialmente, rendendo le ossa opache con i sali di calcio, la cartilagine translucida con la condroitina, e l’intero “mare” di spazio intercellulare gommoso con gli acidi mucopolissacaridi.
Vale la pena mettere a fuoco il nostro microscopio per un momento, per vedere questa colla zuccherina in azione.
Nella Figura 1.13 immaginiamo noi stessi a livello cellulare (simili alla Figura 1.3). Le cellule sono state deliberatamente lasciate indefinite; potrebbe trattarsi di un qualunque tipo di cellula: cellule epatiche, cellule cerebrali, cellule muscolari. Vicino vi è un capillare; quando il sangue è spinto nel capillare da una sistola cardiaca, le sue pareti si espandono e un po’ di sangue è forzato – la parte plasmatica, dal momento che gli eritrociti sono troppo rigidi per passare attraverso le pareti capillari – nello spazio interstiziale. Questo fluido porta con sé ossigeno, sostanze nutrienti e messaggeri chimici condotti dal sangue, tutti destinati a queste cellule. In mezzo giace ciò che occupa il reame intercellulare: le fibre di tessuto connettivo, la sostanza fondamentale, la mucoide interfibrillare e il fluido interstiziale stesso, che è molto simile (realmente intercambiabile) al plasma sanguigno e alla linfa. Il plasma, definito fluido interstiziale quando viene spinto attraverso le pareti dei capillari, deve passare sotto le forche caudine della matrice di tessuto connettivo – sia fibrosa che interfibrillare (sostanza fondamentale) – per ricevere il nutrimento e le altre molecole messaggere dirette alle cellule bersaglio. Più sono dense le maglie delle fibre e meno è idratata la sostanza fondamentale, più difficile diviene il compito. Cellule sperdute nei “mulinelli” della circolazione del fluido non funzioneranno ottimamente (vedi Figura 1.3 e la discussione annessa).
Quanto facilmente le sostanze nutrienti riescono ad arrivare alle cellule bersaglio è determinato da:
1. la densità della matrice fibrosa
2. la viscosità della sostanza fondamentale
Se le fibre sono troppo dense, o se la sostanza fondamentale è troppo disidratata e viscosa, allora queste cellule saranno meno nutrite e idratate. Una delle intenzioni di base degli interventi manuali e sul movimento – senza considerare il valore educativo che tali concetti possono avere – è di aprire entrambi questi elementi per permettere il libero flusso di nutrienti verso le cellule e l’espulsione dei prodotti di rifiuto da queste cellule. La condizione delle fibre e della sostanza fondamentale è ovviamente determinata in parte da fattori genetici, nutrizionali e anche dall’esercizio, ma le aree locali possono essere soggette a “ostruzioni” a causa di uno sforzo eccessivo, un trauma o un movimento insufficiente che hanno permesso che tale ostruzione si verificasse. Una volta che l’ostruzione viene dispersa, qualsiasi sia il mezzo, il libero flusso di sostanze chimiche, verso e dalla cellula, permette alla cellula stessa di smettere di funzionare in una modalità di solo metabolismo di “sopravivenza” per riprendere la sua funzione “sociale” specializzata, che si tratti di contrazione, secrezione o conduzione. “Vi è però ancora una patologia e si chiama congestione”, dichiara Paracelso.
Tornando a livello macro, abbiamo bisogno di una nota finale sulla distribuzione generale della rete: vale la pena di fare una distinzione, solo per l’analisi clinica, tra gli elementi fibrosi che si trovano nelle due principali cavità corporee – dorsale e ventrale (Fig. 1.26).
La dura madre, lo strato aracnoide e la pia madre, sono involucri di tessuto connettivo che circondano e proteggono il cervello, e sono a loro volta circondati e immersi nel liquido cerebrospinale (LCS). Queste membrane si formano nella cresta neurale, una speciale area posta alla congiunzione tra mesoderma ed ectoderma nell’embrione in sviluppo48. Esse interagiscono con il sistema nervoso centrale e il LCS producendo una serie di pulsazioni palpabili all’interno della cavità dorsale, e per estensione nelle rete fasciale intesa come un tutto.49 a.b 50 Queste pulsazioni sono ben note agli osteopati craniali e ad altri che le usano terapeuticamente, sebbene il meccanismo non sia ancora ben compreso e l’esistenza di questi movimenti a onda sia ancora negato da qualcuno.
Oltre ai miliardi di neuroni che formano il cervello e il midollo spinale, vi sono all’interno della cavità dorsale, ulteriori cellule di tessuto connettivo: le cellule di sostegno che circondano e infondono l’intero sistema nervoso, chiamate “rete perineurale”. Questi astrociti, oligodendrociti, cellule di Schwann e altra neuroglia, costituiscono secondo Charles Leonard53 “un numero maggiore (rispetto ai neuroni) sebbene abbiano riscosso meno attenzione perché si riteneva che non fossero direttamente coinvolti nella trasmissione nervosa”. Ora invece stanno “cominciando a gettare un’ombra sopra la brillante performance dei neuroni”. Durante lo sviluppo, le cellule di supporto guidano i neuroni alla loro destinazione finale: gli forniscono nutrimento, creano barriere protettive, secernono sostanze chimiche neuro-protettive, e letteralmente forniscono la colla e lo scheletro per tenere insieme il sistema nervoso. Uno studio recente ha evidenziato la partecipazione della neuroglia nella funzione del cervello, in particolare nell’area delle sensazioni emozionali.
Se potessimo estrarre dal corpo il sistema perineurale intatto, esso mostrerebbe l’esatto contorno del sistema nervoso, poiché ciascun nervo, sia centrale che periferico, è coperto o circondato da questo sistema del perinevrio. Questi rivestimenti rendono più veloce la trasmissione dei segnali nervosi (le fibre mieliniche trasmettono più velocemente delle fibre amieliniche).
Molte cosiddette patologie “neurologiche”, come il Parkinsonismo, la poliomielite, la neuropatia diabetica o la sclerosi multipla, sono dovute in effetti a problemi della neurologia che interrompono la facilità di lavoro dei nervi stessi.
Le cellule perineurali hanno inoltre un proprio sistema di trasmissione dei segnali, forse un precursore più antico delle capacità altamente digitali specifiche della trasmissione neuronale.
Nel funzionamento normale e nella guarigione delle ferite, le onde lente della corrente DC che scorre lungo la rete perineurale aiutano a organizzare generazione e rigenerazione, e potrebbero agire come una specie di “pacemaker” integrativo per l’organismo.
Nello sviluppo embrionale le cellule perineurali assumono un ruolo morfogenetico. Per esempio, le cellule della neocorteccia si sviluppano nella profondità del cervello ai bordi dei ventricoli. Tuttavia esse devono collocarsi in modo incredibilmente preciso in uno strato spesso esattamente sei cellule, proprio sulla superficie del cervello. Questi neuroni in sviluppo usano lunghe estensioni di neuroglia circostante per scivolare come un pompiere sul palo, ed essere accompagnati dalla rete di tessuto connettivo di sostegno alla loro precisa posizione finale sulla superficie del cervello.
A malapena si può resistere alla tentazione di saltare alle conclusioni attribuendo a questa rete perineurale un ruolo nella coscienza.
Nella cavità ventrale, le rete fibrosa organizza i tessuti organici, fornendo un po’ del sostegno trofico e morfogenetico a cui ci si faceva riferimento all’inizio di questo capitolo nella citazione dal Gray – a cui faremo brevemente ritorno. Gli involucri che circondano cuore, polmoni e organi addominali, sono generati dai rivestimenti del celoma durante lo sviluppo embrionale. Il risultato è una serie di differenti densità di organo “conglomerate” in involucri di tessuto, legate più o meno strettamente alla colonna vertebrale e l’una con l’altra, e mosse in un raggio limitato dalle continue onde del diaframma muscolare nel mezzo, e in modo minore anche da altri movimenti corporei come pure da forze esogene come la gravità.
Il fisioterapista e osteopata francese Jean Pierre Barral ha fatto un’interessante osservazione ritenendo che queste superfici di membrane sierose, che si interfacciano muovendosi l’una sull’altra, potrebbero essere pensate come una serie di “articolazioni” tra gli organi61. Egli ha compiuto uno studio affascinante sulla normale escursione degli organi all’interno dei loro involucri fasciali durante la respirazione, e anche sulla loro motilità intrinseca (un movimento simile a quello della pulsazione cranio-sacrale). Secondo Barral, i legamenti che legano questi organi alle strutture circostanti determinano i loro normali assi di movimento. Qualsiasi più piccola aderenza aggiuntiva che restringe o devia questi movimenti (che sono, dopotutto, ripetuti più di 20.000 volte al giorno) può nel tempo influire negativamente non solo sulla funzione degli organi, ma anche espandersi alla soprastruttura miofasciale circostante.
Se la cavità dorsale contiene una sezione della rete fibrosa, e la cavità ventrale ne contiene un’altra, l’argomento principale del libro che tenete in mano è il terzo segmento della rete fasciale: la miofascia del sistema locomotore che circonda entrambe queste cavità. È interessante che un approccio terapeutico sia stato derivato per ciascuna di queste sezioni della rete fasciale. I terapisti sia della manipolazione viscerale che craniale ipotizzano che gli effetti dovuti a distorsioni e restrizioni nei rispettivi sistemi vengano riflessi nella struttura muscolo-scheletrica. Questa è un’asserzione che non abbiamo desiderio di confutare, sebbene assumiamo che tali effetti siano trasportati in entrambe le direzioni. Per essere chiari, il nostro tema principale per il resto del libro è (arbitrariamente) confinato a quella porzione dell’intera rete fasciale che comprende il sistema miofasciale “volontario” attorno allo scheletro.
Questo ci suggerisce che un completo approccio al “corpo fibroso” – che rappresenterebbe se volete l’approccio di una “medicina spaziale” – potrebbe essere ottenuto al meglio da un terapista che avesse esperienza nelle quattro aree infinitamente e intimamente connesse, ma ancora tenute separate:
• Le meningi e il perinervio che circondano e pervadono i tessuti prevalentemente ectodermici della cavità dorsale, attualmente trattati con metodi di osteopatia craniale e terapia craniosacrale – metodi che lavorano sulle tensioni nervose avverse – e con la tecnica sacro-occipitale.
• La sacca peritoneale e le sue inserzioni legamentose, che circondano e pervadono i tessuti prevalentemente endodermici della cavità ventrale, a cui sono rivolte le tecniche e le percezioni della manipolazione viscerale.
• “L’involucro esterno” (vedi sezione seguente sull’embriologia per una spiegazione di questi termini) di miofascia, che comprende tutti i meridiani miofasciali qui esposti favorendo molte forme di lavoro corporeo sui tessuti molli come: “strain-counterstrain”, “terapia sui trigger points”, “rilascio miofasciale” e “integrazione strutturale”.
• E infine “l’involucro interno” del periosteo, delle capsule articolari, dei legamenti inspessiti, della cartilagine e delle ossa, che fanno parte del sistema scheletrico, rispondendo alle mobilizzazioni articolari e alle comuni tecniche di thrust dei chiropratici e osteopati, come pure alle tecniche di rilascio profondo dei tessuti molli che si trovano nell’integrazione strutturale. Un quinto approccio che racchiude tutt’e quattro queste aree è quello di porle tutte in movimento, ciò implica una schiera di requisiti che rispondono alle competenze di fisiatri, terapisti della riabilitazione, fisioterapisti, insegnanti di yoga, insegnanti di Pilates, tecnica Alexander e conduttori di programmi di allenamento personali e posturali.
Sarebbe un esperimento interessante creare un programma educativo in cui i terapisti si confrontassero con tutti e cinque i tipi di approccio. Molte scuole sono favorevoli a questa prospettiva, ma sono pochi gli operatori in grado di navigare con facilità nell’intero corpo fibroso impostando anche un programma di movimento bilanciato.
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