Il corpo è molto diverso da come si pensa

di Jader Tolja

(tratto dal libro “Sensazione, Emozione, Azione – di Bonnie Bainbridge Cohen, Somaticaedizioni  2011)

“Ma con che cosa credi di capire?

Con la testa? Bah!”

da «Zorba il greco» di Nikos Kasantzakis

 

In una limpida mattina newyorkese dei primi anni ’80 fui invitato a casa da Rosemary Feitis[1]– che conosceva il mio specifico interesse per il tessuto connettivo e le sue implicazioni – per provare una nuova forma di terapia craniosacrale apparsa di recente.

Le sensazioni provate durante la seduta erano state abbastanza interessanti, ma la parte più intrigante doveva ancora arrivare. Infatti quando mi rimisi in piedi sentivo testa e volto molto differenti da prima (e anche alquanto asimmetrici) e mi guardai allo specchio per verificare se le mie sensazioni soggettive avessero un qualche riscontro oggettivo.

Effettivamente l’occhio destro era molto più cupo e torvo ed il sopracciglio corrispondente decisamente più basso e chiuso (classici sintomi di una marcata torsione dello sfenoide, l’osso chiave di volta dell’intera struttura craniale). In quel momento mi sarei aspettato che il ribilanciamento dovesse passare attraverso un’ulteriore manipolazione, mentre l’imprevisto suggerimento di Rosemary fu qualcosa del genere: “Prova a ‘ribaltare’ indietro l’emisfero destro”.

Confesso che il primo impulso (e forse anche il secondo) fu quello di pensare a come avevo potuto non accorgermi, negli anni in cui ci eravamo frequentati e avevamo lavorato insieme, che fosse pazza. Considerato però che in precedenza aveva sempre dato prova di spessore e credibilità provai – con molto scetticismo, lo ammetto –, a fare ciò che mi sembrava una delle tante trovate new age che andavano di moda in quel periodo.

La sensazione interna cambiò radicalmente. “Caro vecchio amico placebo”, pensai subito, certo che si trattasse di semplice suggestione. Salvo poi rimanere di stucco quando, trovandomi nuovamente di fronte allo specchio, notai una decisa riorganizzazione delle ossa craniche, ottenuta nel giro di pochi secondi e senza alcuna tecnica manuale, per cui la struttura del cranio era tornata simmetrica.

Oggi, grazie alle ricerche che nel frattempo sono state condotte sul tessuto connettivo, mi risulterebbe più semplice descrivere anche in termini anatomici e fisiologici come e perché si fosse potuto verificare questo cambiamento, ma ai tempi potevo solo pensare che o si era trattato di un’illusione, o il modo che abbiamo di pensare al corpo è molto diverso e assolutamente riduttivo rispetto alla sua effettiva realtà.

Lo studio del corpo e dell’anatomia per via esperienzale non mi lasciarono molti dubbi su quale fosse la risposta corretta. L’esperienza che avevo appena vissuto appariva estremamente bizzarra e stravagante rispetto alla mia formazione scientifica, ma al tempo stesso, e paradossalmente, quanto di più semplice, ovvio e naturale si potesse immaginare.

Quando chiesi a Rosemary da dove mai avesse ricavato un suggerimento così inusuale, mi rispose che aveva a che fare con il lavoro di Bonnie B. Cohen. E questa fu la stessa risposta che ottenni negli anni seguenti – attraversando in lungo e in largo il Nord America per sperimentare differenti tecniche corporee che mi permettessero di comprendere più a fondo la relazione tra la dimensione corporea e quella mentale – tutte le volte che mi trovavo di fronte a qualcosa di inaspettato e inspiegabile secondo i principi della conoscenza medica classica.

Fu così che mi rassegnai e dedicai la seconda metà degli anni ’80 a sperimentare e approfondire il suo particolare tipo di approccio, e gli anni immediatamente successivi a ricercare una plausibile integrazione organica con le esperienze e le conoscenze precedenti.

Ricordo che all’inizio – era inverno –, dopo un breve ma concentrato mese di studio, sentii la necessità di rimuovere per un certo periodo di tempo l’esistenza dell’anatomia esperienziale. Era stato come arrivare alla fine del mondo conosciuto e aprire una finestra su panorami infiniti e imprevedibili, così inconciliabili per la visione anatomica tradizionale che ero del tutto impreparato dal punto di vista emotivo e psicologico.

Ma con l’arrivo dell’estate mi trovai di nuovo pronto a riaprire il file. Da allora non è più stato chiuso ed è un aspetto costitutivo sia della mia vita professionale che di quella privata. L’approccio esperienziale all’anatomia cambia radicalmente la comprensione del corpo. I primi anni che ho dedicato all’esplorazione del corpo in questo senso sono stati di vera e propria ri-programmazione delle conoscenze tradizionali.

Le cose stanno infatti in modo davvero molto diverso da come viene ancora insegnato nelle professioni mediche e paramediche. Buona parte dei paradigmi anatomici a cui facciamo riferimento non sono soltanto superati. Sono fuorvianti.

Ma come è potuto accadere che un approccio così lontano dalle concezioni del corpo su cui si basano la medicina e molte tecniche corporee si potesse sviluppare autonomamente? Non è possibile rispondere a questa domanda senza conoscere alcuni aspetti della personalità di Bonnie e della sua storia.

Ora sappiamo che a un qualche livello – come da sempre sostengono tutte le tradizioni, e ora anche la fisica moderna[2] – tutte le cose, tutte le persone e anche il corpo al suo interno sono profondamente uniti. Il sangue e tutti i fluidi corporei, che di fatto sono una sorta di essudati dello stesso, non sono altro che una piccola porzione dell’oceano primordiale che è stata circoscritta da membrane, come una semplice analisi chimica può facilmente rivelare.

Poi, quasi tutti noi, per adattarci alla società, perdiamo inevitabilmente gran parte di questa connessione, o anche solo la percezione della stessa. Con l’eccezione di poche persone, e tra queste includerei Bonnie (se avete dubbi al riguardo incrociate anche solo per pochi istanti il vostro sguardo con il suo), che riescono a mantenere il radicamento in questo sentire.

Per non perdere contatto con questa percezione interna di appartenenza a qualcosa di più vasto, e avvertendone l’incolmabile gap con la realtà condivisa, molti si affidano a un qualche sistema simbolico, iniziatico o religioso. Ciò permette di disporre di un sistema di riferimento condiviso che sostiene questa percezione di unità transpersonale.

Bonnie ha scelto una strada diversa. Coinvolgendo il marito chiropratico e tutta la sua comunità, ha cercato di dare organizzazione e struttura alle proprie sensazioni e percezioni, di sviluppare una metodologia di insegnamento delle stesse e soprattutto di partire da quanto di più concreto, reale e tangibile esiste per una persona, il proprio corpo, e da un linguaggio universale e condiviso, quello anatomico.

Questo ha permesso quindi di creare una continuità tra scienza ed esperienza, là dove nel caso di molte tecniche, prima esisteva invece un profondo canyon valicabile solo con la fede e l’adozione di linguaggi arcani o appartenenti a culture estremamente differenti dalla nostra.

Torniamo ad esempio al ‘ribaltamento’ dell’emisfero cerebrale citato nell’a
neddoto iniziale: è ovviamente del tutto inspiegabile o enigmatico secondo la visione medica classica di un cervello inerte e insensibile sospeso in un liquido, chiamato cefalorachidiano, all’interno di una scatola, chiamata cranio. Vengono in mente quei vecchi film di fantascienza dove cervelli galleggiano in liquidi sconosciuti dentro scatole trasparenti.

Se invece pensiamo che il cervello è costituito per la gran parte da tessuto connettivo contrattile e sensibile (glia), coordinato dal sistema nervoso che ne ottimizza la forma e le caratteristiche a seconda delle necessità, l’idea di un cervello non meccanicamente passivo  ci appare decisamente meno assurda di prima.

Ok, il corpo non è come pensavamo e allora? C’è un piccolo ma fondamentale corollario a questo fatto: se è possibile percepire in maniera precisa la diversa organizzazione interna che il corpo assume in relazione alle diverse situazioni, quello con cui ci ritroviamo non è solo un corpo diverso, ma anche un potente mezzo di indagine e di penetrazione della realtà e della cultura.

Corpo-Mente-Spazio-Cultura sono infatti in continua relazione e la possibilità di sentire e capire un polo (il corpo) ci permette di capire tutti gli altri.

Il mio senso di riconoscenza per l’anatomia esperienziale e per Bonnie, le cui qualità percettive e umane mi hanno permesso di partecipare ai primi entusiasmanti viaggi organizzati all’interno del corpo, deriva proprio da questo.

L’approccio esperienziale all’anatomia mi ha consentito infatti di iniziare un percorso professionale di ricerca che non ha “ribaltato” solo il mio emisfero cerebrale destro, ma anche tutta la mia comprensione della psicoanalisi e della psicoterapia, del nostro funzionamento psicologico e caratteriale, a partire dall’osservazione che pensieri ed emozioni differenti emergono da corpi differenti.

Mi ha dato gli strumenti per esplorare quelle che in precedenza erano le inafferrabili relazioni corpo-spazio, per cominciare finalmente a comprendere, sia esperienzialmente che teoricamente, le misteriose regole del “genius loci” o del “feng-shuei”. Per capire, sentendone l’effetto a livello fisico, le relazioni umane a un livello diverso da quello che ero in grado di cogliere prima. Per percepire con chiarezza perché i metodi tradizionali di insegnamento non possono che fallire e per individuare un possibile sviluppo di stili didattici diversi, neuro-ergonomici per l’organismo di chi apprende. Per notare come il nostro modo di vestire non cambia solo il nostro aspetto esterno, ma anche il nostro corpo e, di conseguenza, la nostra mente. Per rinnovare il rapporto con lo sport che, esaurita la passione agonistica, stava diventando un’occupazione sempre più noiosa e che invece si è rivelata una fonte inesauribile di piacere e interesse per le continue trasformazioni e opzioni che si aprono all’interno del corpo. Per riavvicinarmi e gustare a un altro livello tecniche corporee occidentali, come ad esempio il metodo Feldenkrais e la terapia cranio-sacrale, o orientali, come lo yoga e il tai-chi, che avevo praticato in precedenza e che avevo poi abbandonato. Per ritrovare interesse per i viaggi, grazie alla possibilità di leggere una cultura anche attraverso il corpo della popolazione di cui è espressione. Per avere una nuova chiave di lettura delle relazioni tra la politica, il corpo dei suoi leader e quello dei loro elettori  Per percepire le malattie non come guasti accidentali dell’organismo causati da virus, batteri, sfortuna, genetica o altro, ma come esito naturale di specifiche organizzazioni e strategie fisiche e culturali. Per riscoprire forme sofisticate di medicina, come quella tradizionale cinese, quella ayurvedica e quella omeopatica – il cui studio avevo praticamente abbandonato perché mi sembrava diventare sempre più un atto di fede – mentre ora risultavano espressione chiara e naturale di quel nuovo intendimento.

Mi ha permesso infine di cogliere che la spiritualità sentita – la percezione che tutte le persone e le cose del mondo si appartengono e sono legate insieme (res-ligo, da cui la parola religione) – non è l’esito di un allontanamento dal corpo, quanto invece di un incarnarsi più profondamente in esso.

Oggi, tuttavia, quando ripenso a Bonnie sento che accanto all’apprezzamento per “ciò che ha fatto”, ne esiste uno ancora più profondo per “come lo ha fatto”. Dopotutto è vero che “Si insegna per quello che si dice, ancora di più per quello che si fa, ancora di più per quello che si è”.

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Jader Tolja, attualmente docente presso l’università di Bratislava, ha lavorato come medico, psicoterapeuta e trainer di anatomia esperienziale e si occupa soprattutto delle conseguenze dello studio di quest’ultima per i diversi ambiti professionali. È autore di vari libri su questo tema, di cui “Pensare col corpo,” (www.pensarecolcorpo.it) è il più conosciuto e tradotto. Ha lavorato con Bonnie B. Cohen ad Amherst dal 1986 al 1989.

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Genesi di una metatecnica

Il BMC non nasce dall’evoluzione di tecniche già esistenti, ma da un processo di ‘simbiogenesi’.

La teoria simbiogenetica, frutto della ricerca di Lynn Margulis (University of Massachusetts, Amherst), ha rivoluzionato la comprensione della genetica dimostrando l’inadeguatezza delle teorie precedenti basate sull’idea di una lenta e continua trasformazione dei nostri cromosomi nel tempo. In quest’ottica, infatti, esisteva qualche difficoltà a spiegare fenomeni come salti evolutivi radicali e improvvisi.

In sintesi, secondo tale teoria l’evoluzione genetica non è la conseguenza di un meccanismo di lenta trasformazione del DNA dei nostri antenati, quanto, e soprattutto, l’incorporazione nel nostro patrimonio genetico di pezzi consistenti del DNA degli organismi con cui ci troviamo a convivere e coabitare.

Scrive Margulis: “In certi casi il vivere in coabitazione a lungo termine, sfocia nella simbiogenesi con la comparsa di nuovi corpi, nuovi organi, nuove specie. In breve, penso che la maggior parte delle novità evolutive sono sorte, e sorgono ancora, direttamente dalla simbiosi, anche se non è l’idea comune che sta alla base della maggior parte dei testi”.

Il consistente elenco di ringraziamenti, non è solo un atto di gratitudine dovuto a persone significative della sua storia professionale, ma è anche l’icona di un nuovo modo di concepire l’evoluzione genetica della stessa.

Si tratta in pratica di “individualità per inclusione”, secondo il titolo di un capitolo del libro più noto di Margulis (Symbiotic Universe), e si differenzia dal meccanismo classico presente nelle scuole dove, come afferma David Mamet, “Il prestigio della maggior parte degli insegnanti poggia sull’idea della successione apostolica. Pubblicizzano il fatto di aver studiato con allievi che avevano studiato con allievi i quali, all’inizio della catena, avevano studiato con uno dei grandi”.

Questo processo di inclusione, invece che di esclusione, ha provocato un salto quantico nella comprensione dei principi trasversali e universali che stanno alla base delle singole tecniche corpo
ree e di alcune relazioni fondamentali tra aspetti come i sistemi anatomici, i piani di movimento, i riflessi neuroevolutivi e così via. L’approccio del BMC diventa quindi di fatto una sorta di “metatecnica”, cioè una tecnica che non si pone in competizione con le altre tecniche corporee tradizionali, ma che invece ne promuove la comprensione e la valorizzazione.

J. T.


[1] Coautrice prima con Ida Rolf (Rolfing), e poi con Louis Schultz (The Endless Web), di alcuni libri significativi sul tessuto connettivo.
[2] A partire dalla dimostrazione scientifica del teorema di Bell, che, ipotizzando una relazione sincronica e istantanea tra lo spin di due elettroni, anche a grandi distanze, formulava una teoria dell’unità della materia che non segue le classiche regole spazio temporali, ma rivela una fondamentale unità di fondo.

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 Sensazione, Emozione, Azione, 

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