Un punto di vista sulla Terapia Craniosacrale

Di Silvio Mottarella e Laura Di Lernia
www.hakusha-brescia.it , www.essereuno.com

Hai compreso veramente una cosa solo quando sei in grado di spiegarla a tua nonna.

Lo diceva il grande Albert Einstein.
I casi sono due: o la nonna è troppo “svampita” oppure si è perso qualche fondamentale dettaglio.
Ripartiamo daccapo.
Fine ottocento, primi del novecento. Il dott. Sutherland, un osteopata americano fa una scoperta sensazionale: le ossa del cranio si “articolano” tra di loro per tutto il corso della vita. Fino ad allora si riteneva che nei primi anni di vita le ossa della testa si calcificassero creando un contenitore rigidamente fissato. E’ una scoperta che può sembrare banale ai nostri giorni – per altro non ancora completamente accettata da tutti – ma che ha stravolto un paradigma culturale con un effetto a cascata su molti aspetti della vita. E’ stato l’inizio dell’agonia della visione meccanicistica dell’uomo (il decesso, purtroppo, non è ancora avvenuto) che considera l’uomo come somma di parti in una visione piramidale con una gerarchia funzionale. Sutherland invece segna l’inizio di una visione sistemica dell’uomo come organismo, come struttura orizzontale o insieme funzionale in cui tutte le parti, ivi compresi gli aspetti psichici, emozionali, spirituali ecc. sono interconnesse, in stretta relazione funzionale e dove ogni parte rivela tutto l’insieme. Un po’ come quando Galileo disse che la terra era rotonda segnando la fine della visione antropocentrica dell’universo. Senza farne un paragone, Sutherland ha contribuito a segnare una tappa importante della fine della visione cartesiana dell’uomo, processo ora sostenuto anche dall’avvento delle nuove neuroscienze che sostengono, per esempio, che sono i sentimenti la base della ragione (Antonio Damasio: L’errore di Cartesio).
Qualcosa del genere era già stato detto in India duemilacinquecento anni prima dal Buddha ma i termini del discorso erano forse troppo esoterici o esageratamente in anticipo sui tempi, almeno per noi occidentali. Ora il mondo della craniosacrale fa profondi riferimenti alla filosofia buddista e alla visione sistemica dell’universo, evolvendo la visione dell’uomo forse col rischio di teorizzarlo ed indottrinarlo eccessivamente – riducendo di conseguenza la portata dell’insegnamento del Buddha.
L’immagine che ne sortisce è di un “uomo tensegrito” (La parola inglese «Tensigrity» è stata inventata
dall’archittetto Fuller nel 1955; risulta dalla contrazione delle parole «tensile» ed « integrity » e caratterizza la «facoltà di un sistema a stabilizzarsi meccanicamente col gioco di forze di tensione e di decompressione che si ripartiscono e si equilibrano») ovvero interconnesso col tutto. A partire dalla nuova visione della cellula, interconnessa in tutte le sue parti e con tutte le altre cellule, si crea una rete che coinvolge tutti i sistemi del corpo e oltre, fino ai limiti dell’universo. L’uomo è una goccia del mare. Ma forse, per via della nonna, è meglio per ora se ci occupiamo solo della goccia, mettendo da parte il mare. Capito il semplice, diventa possibile anche comprendere il complesso.
Da osteopata Sutherland, il nostro pioniere, aveva sviluppato una qualità di tocco, di ascolto e di auto- ascolto molto raffinate; queste qualità gli hanno permesso di “scoprire” le importanti relazioni esistenti tra i sistemi e gli aspetti dell’umano. Sicuramente aveva anche una profonda “conoscenza“ anatomica e funzionale del corpo, mettiamo le virgolette perché quello che lui stava facendo era proprio rimettere in discussione ciò che fino ad allora era considerata conoscenza. Sembra che lui si riferisse molto alle sue sensazioni e intuizioni e che ponesse molta fiducia in queste, ossia che lui imparasse esperienzialmente
da dentro; insomma, che imparasse a conoscere il corpo dal corpo, la vita dalla vita; esperienza dopo esperienza, giorno dopo giorno. Semplicemente da testimone, senza nulla inventare. Solo osservando ed ascoltando profondamente, senza giudizio. Invece di bere direttamente tutte le “verità” sottoforma di dogmi, lui costruiva esperienze che informavano il cognitivo da dentro, direttamente dal corpo. La pratica e il continuo affinamento dell’ascolto attento, profondo e neutrale, gli hanno permesso, partendo dalle ossa, di accedere strato per strato ai sistemi più interni e profondi dell’organismo. Dall’ascolto delle ossa trovò la porta d’accesso per le membrane interne al cranio, quelle che sono poi state definite membrana a tensione reciproca: falce e tentorio. Poi scoprì di poter ascoltare il tessuto neurale percependo il movimento che lo fa arrotolare e srotolare attorno ai ventricoli. Intuì che vi era una forza al di sotto di queste strutture a provocare e guidare i movimenti. Scoprì così la fluttuazione del liquido cerebrospinale che riconobbe come l’origine del movimento delle strutture. Alla fine del percorso e anche della sua esperienza terrena, osservò che c’è una capacità di guarigione intrinseca al sistema più efficace del terapista; orientò il suo lavoro all’ascolto della marea e della potenza che la anima considerando la delicatezza la chiave per percepire la leggerezza dei fluidi.
Non si trattava più di andare a verificare la funzionalità del corpo partendo da una convinzione, o di indurre una parte di esso a fare una determinato movimento (com’era stato fino ad allora l’approccio biomeccanico), si trattava invece di acquisire una capacità di ascolto mediato dalla qualità del tocco, assolutamente neutrale e al contempo in presenza totale, per permettere al corpo di esprimersi, di mostrarsi, di raccontarsi. Essere “semplicemente” – proprio qui sta la vera abilità – testimoni neutrali ma consapevoli del processo in corso.
Un po’ come quando da piccoli si gioca così completamente immedesimati nel ruolo scelto che sembra tutto reale; anzi, in quel momento lo è; è come se tra il cielo e la terra ci fosse solo questo. In realtà qualcuno c’è e per quanto, occupandosi delle sue faccende ci osservi attentamente, la sua presenza è così discreta e rispettosa del nostro spazio da permetterci di essere quello che stiamo facendo, senza pudori, senza vergogne o giudizi, autentici. Poi basta che ci chiedano cosa stiamo facendo, che ci facciano sentire osservati e …. la magia finisce. E così è l’ascolto craniosacrale. Se dai al cliente, attraverso il contatto col suo corpo, la sensazione di essere indagato o anche semplicemente osservato troppo da vicino, se gli stai troppo addosso il corpo diventa silente e muto; si ritira.
Con l’esperienza e la pratica si è potuto osservare che l’essenza della guarigione sta proprio nella capacità di creare uno spazio neutro ma sicuro, che permetta al corpo di raccontarsi e, così facendo, di riorganizzarsi, liberandosi degli schemi di inerzie per esprimere nuovamente il principio di salute originario. L’approccio craniosacrale si è così caratterizzato per il tocco lieve e neutrale che permette di sintonizzarsi con i delicati movimenti dei fluidi e delle strutture più interne e “sottili” del corpo. E’ un non fare, un non agire, o per meglio dire, un andare oltre l’azione intesa come gesto meccanico. Il non fare che diventa la sintesi e l’essenza del saper fare.
L’acquisizione di queste competenze è un processo che prevede come primo passo un lavoro su se stessi. Noi riconosciamo solo quello che il nostro corpo conosce; conoscendoci in modo sempre più dettagliato, saremo in grado di percepire i movimenti e i messaggi sottili che il corpo del cliente comunica. Imparare a creare congruenza tra l’intenzione, compresa la neutralità e la qualità del gesto, è frutto di un processo continuo di apprendimento e ripetizione e richiede la compartecipazione di tutto il nostro essere. Si impara che ogni struttura corporea ha una sua qualità e necessita di una specifica qualità di tocco e di presenza. E’ artigianalità, intesa come il saper fare con arte, il fondamento che ci permette di accedere alla capacità di ascolto e di dialogo col sistema fluido del corpo. Così facendo impariamo col corpo, in modo esperienziale. Questo ci permette di conoscere le strutture e le funzioni sulle quali portiamo l’ascolto e a rendere la nostra presenza sempre più dettagliata e consapevole.
“Non potendo più immaginare, l’uomo moderno confronta. Confronta la sua sorte con quella degli altri, e non è soddisfatto” – afferma Henri Laborit.
il dr. Sutherland ha avuto coraggio, il coraggio di immaginare, e dobbiamo essergli grati, perché è grazie agli uomini che hanno il coraggio di cambiare (ancora Laborit) che facciamo altro dall’affilare utensili di selce abitando ancora nelle caverne.
Continuiamo ad immaginare quindi, ci fa bene, questo la nonna lo sa … senza bisogno di spiegarglielo!

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