I ritmi degli elefanti

di Paolo Tozzi


L’applicazione dell’osteopatia agli animali è una cosa del tutto nuova,  soprattutto in Kenia. Antony Nevine, presidente in carica della SOAP (Society of Osteopaths in Animal Practice), è la persona che per prima ha avuto l’idea di organizzare un workshop “Wild Life” in Kenia. La SOAP è una associazione fondata da Antony Poussy, considerato un pioniere dell’osteopatia veterinaria in Inghilterra. Questa iniziativa è stata pensata diversi anni fa da Antony Nevine quando era andato in Kenia per la prima volta, nello Tsawo Park ospite di un’amica esperta nella riabilitazione degli elefanti.
Io invece sono entrato come tutor di questo progetto perchè già collaboravo con Antony Nevine nell’ambito dei corsi post-graduate sull’approccio osteopatico agli animali in Inghilterra e nei paesi scandinavi.
In questa esperienza sono state coinvolte otto persone, di cui due fisioterapisti, quattro osteopati e due finanziatori inglesi amanti degli animali.
In questo parco opera il David Sheldrik Trust, una associazione internazionale no profit che ha preso a cuore la causa degli elefanti. E’ noto che in Africa esiste ancora il problema del bracconaggio, nonostante sia un reato condannato dal governo. Perlustrando il parco si trovano spesso questi elefanti baby rimasti da soli perchè i genitori sono stati cacciati dai bracconieri o dai predatori. Questi cuccioli vengono prelevati e visitati da veterinari specializzati dello David Sheldrik Trust. Dopo di che iniziano un processo di cura e riabilitazione perchè molti di loro sono malnutriti, feriti, in condizioni critiche anche dal punto di vista emozionale, avendo assistito alla morte dei genitori o trovandosi abbandonati. Vengono curati con farmaci, ma soprattutto viene dato loro tutto l’amore possibile. Dopo questo periodo di riabilitazione, che può durare da dodici mesi fino anche a quattro-cinque anni, questi elefantini vengono reintegrati nel loro habitat naturale. Si tratta di un processo lungo. Può accadere, per esempio, che i custodi lascino aperti i cancelli per consentire loro di uscire liberi, pur continuando a seguirli per impedire che corrano dei pericoli. Infine si assicurano che trovino un gruppo di elefanti selvaggi e che riescano a reintegrarsi. Gli elefanti hanno un forte senso della famiglia ed è abbastanza facile che integrino anche un membro che non appartiene al gruppo.
L’osteopatia all’interno di questo progetto  nasce dall’esigenza di intervenire in questo periodo più o meno lungo di riabilitazione, che include la cura dell’alimentazione, la cura farmacologica  e in più l’approccio osteopatico.
Il David Sheldrik Trust  ha diverse sedi nel parco nelle quali operano i custodi che vivono e dormono con gli elefanti in costante contatto e sintonia con loro. I custodi gestiscono l’operatività di ogni sede e si occupano di nutrire gli elefanti, di controllarli e accudirli in tutto. L’età dei cuccioli varia da un mese a sette anni.
Durante la nostra permanenza abbiamo visitato in tutto sessantadue elefanti, suddivisi in circa tre sottogruppi di venti che si trovavano nelle diverse sedi.
Le patologie che abbiamo trovato sono state di diverso tipo: la maggior parte soffrono di malnutrizione, hanno delle fosse sotto gli zigomi molto accennate ed anche gli occhi sono affossati. Spesso sono anche disidratati. Alcuni hanno lesioni, ferite, traumi, code mozzate, quindi lesioni della sezione coccigea del midollo con perdita del controllo dello sfintere. Altri hanno problemi di digestione o problemi strutturali, come ad esempio una forte inversione degli arti posteriori probabilmente congenita.
Il primo incontro di noi operatori con gli elefanti è stato un momento importantissimo: questi animali hanno la parte del sistema nervoso dell’area diencefalica molto sviluppata (la parte collegata tra rinoencefalo e amigdala) e quindi hanno una fortissima memoria associativa collegata all’olfatto. Per far sentire loro il nostro imprinting olfattivo la prima volta che li abbiamo incontrati non ci siamo messi profumi o deodoranti, e ci siamo avvicinati lentamente lasciandoci annusare, contattare e conoscere. Dopo questa prima presentazione ci hanno memorizzato e appena ci vedevano arrivare capivano che era il momento del trattamento. Erano loro che ci cercavano e ci sceglievano, da lontano ci vedevano e sapevano da chi venire.  Dopo esserci fatti avvicinare e odorare senza toccarli, ci siamo limitati per un lungo periodo ad osservarli da lontano senza interferire. Ci siamo informati sulla storia personale di ogni esemplare, esposta dettagliatamente dai custodi. Abbiamo studiato anche il comportamento sociale degli elefanti che all’interno del gruppo seguono una struttura gerarchica. Siamo sempre stati attenti a contattare per prima la matriarca, colei che deve dare l’ok affinché il resto del gruppo possa approcciarci. Il custode ci introduceva alla matriarca e poi potevamo accedere al resto del gruppo. Grazie a questa osservazione dei comportamenti, soprattutto dei movimenti e della deambulazione, nel momento del trattamento già sapevamo dove si doveva intervenire. Questo periodo di studio e di osservazione è stato infatti una preparazione che ha consentito all’intuizione di trovare i binari sui quali poter procedere per il trattamento.
Oltre agli elefanti c’erano anche tre rinoceronti di cui uno in particolare, di nome Maxwell, di sedici anni e cieco dalla nascita, aveva dei problemi di costipazione cronica. Per motivi di sicurezza ho potuto effettuargli i trattamenti solo attraverso le sbarre, anche se c’erano dei segnali chiari sulla non pericolosità di Maxwell, che ormai mi conosceva e ricercava il contatto con me. Dopo averlo visitato ho applicato una tecnica che ha un effetto vagotonico: strofindo la parte mediale dell’arto posteriore l’animale va in una sorta di trance, si accascia completamente sul treno posteriore e si può lavorare senza problemi sulla colonna vertebrale e sulla testa.  Nel video si vede come l’animale si accascia e si lascia trattare anche se la mia  manualità è limitata dal fatto di trovarmi dietro le sbarre. Si lavora in oscillazione armonico tissutale, l’animale è come un bambino, hai pochi secondi per capire dove è racchiuso il problema, come approcciarlo, liberarlo e lasciarlo andare.
Ho fatto anche tanti altri trattamenti, uno in particolare ad un elefantino di tre mesi che era caduto in una fossa ed era rimasto bloccato all’interno di un tubo di mezzo metro di diametro rischiando di rimanere soffocato. Aveva un forte blocco a livello dello sterno e tramite un approccio craniosacrale ho provato subito a farlo centrare sullo sterno. Si è ripiegato completamente su se stesso rimanendo completamente assorto, mentre io venivo circondato da tutti i custodi rimasti molto impressionati nel vedere questo animale completamente avvolto nel suo pattern disfunzionale. Per dieci minuti l’elefantino è andato in profondità, poi si è sdraiato completamente. C’è stato come un still point che è durato un minuto, dopodiché c’è stata come una esplosione a livello sternale: è ripartito tutto, si è svegliato, si è rimesso subito in piedi ed ha ricominciato a camminare tranquillo. I custodi mi hanno chiamato dopo due giorni dicendomi che l’animale aveva cambiato completamente atteggiamento: mentre prima rimaneva sempre in disparte, era sempre l’ultimo del gruppo, ora era molto più vivace, cercava il cibo e si avvicinava subito al custode.  Durante la nostra permanenza abbiamo trattato anche due giraffe di cui una in gravidanza, ma è stato molto difficile perchè sono animali molto schivi. Nonostante la proverbiale lunghezza delle giraffe siamo riusciti a fare un breve trattamento a quella più piccola.
Sugli elefanti ho applicato più un lavoro funzionale, prevalentemente il metodo craniosacrale, ma ho utilizzato molto anche il lavoro  fasciale sebbene in modo indiretto. Il mio collega Antony Nevine  ha invece lavorato molto di più con il craniosacrale.
Nella casistica che abbiamo registrato si è rilevata nella maggioranza degli elefanti una predominanza di torsioni sinistre nel cranio. Abbiamo trovato spesso anche delle notevoli restrizioni diaframmatiche, che abbiamo imputato con buona probabilità all’aspetto emotivo. Nei casi invece di elefantini con code mozzate c’erano lesioni intra-ossee diffuse sia a livello sacrale che coccigeo.
La cosa complicata con questi animali era fare del lavoro strutturale sulle suture craniche. Il lavoro straordinario fatto sugli elefanti più piccoli è stato quello intraorale grazie al fatto che hanno una sorta di sucking reflex. Quando metti il pollice nella loro bocca automaticamente attivano la suzione che ti permette di lavorare sulla sutura intermascellare e sullo sfenoide. Mentre continuano a succhiare puoi lavorare per più minuti e intervenire anche sul cranio.
Tra le varie tipologie di lavoro abbiamo fatto anche l’intervento strutturale di articolazione delle cervicali. Gli elefanti hanno delle vene esterne molto grandi dietro le orecchie che servono alla termoregolazione. Infatti se li tocchi dietro le orecchie senti che è molto fresco e il contatto della mano in questa area termicamente protetta gli dà molto piacere. In questo modo gli elefanti si rilassano e così ti consentono di manovrare le cervicali articolandole piano piano, sopratutto a livello occipitale oppure passando da sotto a livello sub-occipitale. Ad esempio su un elefantino che aveva una lesione alla proboscide e aveva perso l’esterocezione, abbiamo fatto un lavoro di bilanciamento fasciale. In alcuni caso abbiamo lavorato anche in tre contemporaneamente: io Tony ed un altra ragazza osteopata. Uno lavorava sul cranio, uno sulla zona toracico-addominale e l’altro sull’articolazione sacro-iliaca. Dopo ogni sessione di trattamento si creava una sinergia tra noi operatori, senza dirci nulla capivamo quale era il momento di interrompere il trattamento. In maniera quasi automatica tutti noi ci allontanavamo e ci sdraiavamo là vicino agli animali e nessuno diceva una parola. Si creava un silenzio talmente tangibile, paragonabile a quella che nel nostro lavoro viene chiamata dinamic stillness, ossia la dimensione della quiete. Evidentemente questa dimensione viene molto favorita dalla natura e dall’ambiente che c’è intorno. Si entra in un’armonia tra animale, ambiente e uomo, in una dimensione di relazione con l’essere. Questa situazione si è verificata due volte ed è durata circa venti-trenta minuti. E’ stato come un ritorno alla natura, non vorresti più andartene, un ritorno ad un ambiente che sai esserti già appartenuto e dal quale in qualche modo ti sei estraniato.
Da questa esperienza ho appreso che nel  trattamento con gli animali, in quel tipo di ambiente naturale così forte, in realtà non c’era né un terapeuta né un paziente: si verificava un’ interazione dinamica tra uomo e animale in cui io mi sentivo nello stesso tempo sia paziente che terapeuta. Alla fine di ogni trattamento mi sentivo profondamente cambiato, avveniva un processo terapeutico reciproco. Sicuramente questo avviene anche quando fai un trattamento ad un essere umano, ma in quel contesto le sensazioni venivano rinforzate dalla potenza della natura, dalla presenza di questi animali selvaggi che hanno un forte senso della libertà.
Trattando questi animali in realtà vieni trattato anche tu, capisci che sono loro che scelgono te, ti guidano là dove devi andare, scelgono quando e come rilasciare ed in questo processo di interazione terapeutica la mia disfunzione entrava in sincronia con la loro e trovavamo un punto di bilanciamento reciproco.
Già esiste la pet therapy, lì invece si faceva human therapy  era la situazione contraria.
La differenza tra il  trattamento osteopatico con gli esseri umani e quello con gli animali è che con gli animali c’è molta più intuitività, c’è meno filtro mentale sia del terapeuta che del paziente. Quando ero lì avevo pochi minuti per trattare quindi non pensavo, la mano andava da sola, mi muovevo in maniera intuitiva e veloce, toccavo e poi lasciavo andare.  Solo in un momento successivo mi trovavo a dare una spiegazione e a razionalizzare ciò che avevo fatto. Il problema che abbiamo avuto durante questo progetto è stato quello di non poter misurare direttamente i miglioramenti perchè non c’erano gli strumenti per poterlo fare, a parte ciò che ci riportavano i custodi sui cambiamenti che effettivamente notavano. In futuro cercheremo di documentare meglio questa interessantissima esperienza.

Paolo Tozzi
Osteopata e fisioterapista, si occupa da tempo di problematiche legate alla medicina olistica. Dal 2008 ricopre la carica di Tesoriere dell’Os.E.A.N. – Osteopathic European Academic Network – www.osean.com – ed è  Vice-Direttore e Responsabile dei rapporti internazionali e dei corsi postgraduate presso la sede CROMON di Roma – www.cromon.it
Dal Giugno del  2007  è Membro della famigerata S.O.A.P. – Society of Osteopaths in Animal Practice; UK – www.uksoap.org.uk
E’ stato membro della commissione didattica del R.O.I. – Registro degli Osteopati Italiani.

Siti di riferimento:
www.cromon.it
www.uksoap.org.uk
www.sheldrickwildlifetrust.org
www.zooost.com