Platonismo somatico

Riproponiamo un articolo che può essere considerato un “classico” del pensiero somatico, apparso sulla rivista Somatics nel 1980 e tratto dal sito www.pensarecolcorpo.it

Quali problemi si creano quando si percepisce, valuta e opera sul corpo di un essere umano tramite un confronto fra il suo corpo reale e un modello “ideale”?

Questa forma di pensiero pervade la maggior parte delle attuali scuole di terapia somatica, comprese quelle che affermano di ripudiarlo.
Un giorno, nel corso di un corso per istruttori Rolfers di livello avanzato, Ida Rolf volle che ci spogliassimo, mantenendo solo la biancheria intima, e che ci disponessimo poi tutti insieme in piedi di fronte a lei. Eravamo in dieci, e mentre ci osservava le sue spalle si incurvarono e la sua espressione divenne profondamente triste.
« Che pasticcio» disse, «nessuno di voi ha i piedi rivolti correttamente. Neppure uno». Ricordo che condivisi con lei quel momento di sconforto. Mi sentii depresso, perché, nonostante tanti anni di lavoro corporeo su me stesso, e i miei successi come terapeuta, ero ancora ben lontano da una condizione “corretta”.
In quel momento a noi dieci importava ben poco delle nostre vite relativamente appaganti (la maggior parte di noi aveva superato i quarant’anni), e dei nostri corpi in condizioni notevolmente superiori rispetto alla media. Alla dottoressa Rolf importava ben poco, in quel momento, di aver contribuito in maniera determinante alla formazione e al benessere di tutti noi e, attraverso le nostre vite, alle vite dei nostri clienti.
Tutti noi eravamo profondamente tristi, semplicemente perché i nostri piedi “non erano a posto”.

I nostri piedi non erano a posto perché non corrispondevano all’ideale somatico sviluppato dalla dottoressa Rolf, raffigurato simbolicamente dall’immagine del “bambino a blocchi”, che costituisce il logo dell’Istituto Rolf.
Si fa riferimento a un modello astratto tale per cui il cosiddetto “rapporto corretto” prevede che la trasmissione del peso corporeo avvenga in modo specifico attraverso la tibia e il perone fino all’arco plantare, ossia all’arcata scheletrica del piede.
Questo modello astratto non trova corrispondenza nel mondo reale dei piedi gonfi e sudati.
Un modello ideale non ha nulla a che vedere con la vita reale degli uomini e delle donne… Esiste solo e unicamente sotto forma di schemi disegnati a inchiostro, e nell’attività mentale della gente che li elabora.
Altri schemi astratti forniscono a vari fedeli adepti una serie di regole in base alle quali giudicare se stessi e gli altri esseri umani per decidere chi “è a posto”, chi “ha raggiunto un equilibrio”, chi “è sessualmente adeguato” e chi invece è “bloccato”, “ha dei problemi”, “è nei guai”, o è addirittura “praticamente inumano”.

I vari principi del platonismo somatico, che attualmente permea diverse scuole terapeutiche, sono soggetti alle medesime critiche che sono già state rivolte a forme più generalizzate del pensiero platonico.

1. L’idealismo somatico

L’idealismo somatico, analogamente all’idealismo religioso e morale, costituisce una costante sorgente di scoraggiamento e di svalutazione della vita umana. Non siamo mai veramente a posto, nonostante le apparenze. C’è sempre una vertebra che sporge di qua, una coscia che sporge di là; una spalla tenta sempre di risalire insidiosamente più in alto dell’altra.
La vita non viene concepita come un processo complesso, non chiaramente definibile sotto molti aspetti, in cui concorrono stress, nutrimento elargito con amore, rabbia, depressione, gioia, dolore, piacere, che interagiscono creando il mutevole tessuto dell’esistenza.
No, questa forma di pensiero considera la vita un’inutile lotta per diventare come X, comportarsi come Y.

2. All’atto pratico, l’idealismo somatico ostacola la percezione.

Ida Rolf insegnava un modello ideale, basato su una sua personale osservazione: «l’umanità tende ad avere le vertebre lombari con un arco orientato in avanti».
Il lavoro dei terapeuti della sua scuola è finalizzato a spostare questo gruppo di vertebre in posizione arretrata. Ricordo che dopo cinque anni di pratica del Rolfing (e dopo numerose lezioni con la dottoressa Rolf nel corso delle quali risultava regolarmente che le vertebre lombari erano eccessivamente avanzate) ecco che un giorno arriva un professore di anatomia, convertitosi al Rolfing, che mi dice: «Le mie vertebre lombari sono eccessivamente arretrate, e così pure quelle di molta altra gente!».
Il giorno dopo su sei pazienti ne vidi, con grande turbamento, ben tre che avevano le vertebre lombari orientate lungo una curva rivolta posteriormente anzichè anteriormente.
Negli anni seguenti, soprattutto sotto l’influenza del lavoro di Judith Aston, sono giunto alla conclusione che le due tendenze sono ugualmente diffuse.
Succede la stessa cosa anche con i terapeuti di altre scuole: non vedono il “mio” corpo, vedono “il” corpo secondo i criteri della loro scuola.
Il platonismo somatico rafforza i filtri, già potenti di per sè stessi, dei preconcetti che impediscono ai nostri occhi di percepire il corpo di un essere umano com’è in realtà.
Vediamo ciò che vogliamo vedere, ciò che siamo abituati a vedere, ciò che ci hanno insegnato a vedere. Il semplice approccio alla visione diretta richiede un lento e paziente addestramento all’individuazione delle barriere dell’io che ci separano dall’altra persona. Un modello di come dovrebbe apparire l’altra persona non è altro che l’ennesimo ostacolo alla realizzazione del processo della visione.

3. L’irrigidimento della pratica terapeutica.

Il restringersi della percezione che accompagna il platonismo somatico comporta inesorabilmente L’irrigidimento della pratica terapeutica. All’elaborazione di una risposta creativa, e imprevedibile a priori, alle esigenze specifiche di un dato essere umano, unico e differente da tutti gli altri, si sostituisce una ricetta da applicare a tutti indistintamente.
Un terapeuta corporeo che segue la scuola di Reich trascorrerà anni lavorando sul “blocco oculare” perché gli è stato insegnato che finchè non l’apre il paziente non potrà mai assimilare mutamenti a carico dei “blocchi bassi”. Un terapeuta che segue la scuola della Rolf invece prima o poi noterà un accorciamento dei muscoli adduttori della coscia, senza naturalmente far caso all’individuo che se ne sta in piedi sotto ai suoi occhi.
La ripetizione meccanica di gesti e rituali noti sostituisce la semplicità della percezione e la sorpresa della continua scoperta di nuovi modi di lavorare.

4. Rigidità del comportamento.

Le terapie basate sul platonismo somatico contribuiscono alla rigidità del comportamento. Il comportamento viene a essere costantemente mediato dai preconcetti di come si dovrebbe apparire, anzichè dalle risposte organiche alle nuove situazioni.
I discepoli della Bioenergetica fanno ben attenzione a non incrociare le gambe e a non contrarre la parete dell’addome. Un gruppo di Rolfer in una stanza appare immancabilmente rigido, immobile: un insieme di gente che si sforza di apparire il più possibile alta e simmetrica.
Addirittura le reazioni dovute alla liberazione di energia profonda nel corso delle sedute terapeutiche finiscono per essere mediate dall’ideale somatico: le risposte sono prevedibili, a seconda del tipo di terapia: “primal”, “counseling”, “zazen” e così via.

5. Lavorare con un modello ideale

Lavorare con un modello ideale è la causa principale delle varie esperienze dolorose comuni a un gran numero di patologie somatiche nel corso della relativa terapia. Se ad esempio lavoro su un tuo piede, e manipolo il tessuto connettivo nella convinzione di sapere esattamente dove deve starsene la tua caviglia nel contesto di tale tessuto, io tenderò a riportare la caviglia “in riga secondo le regole”. Ma la direzione da me scelta può essere in conflitto con la percezione innata della posizione corretta da parte dell’organismo interessato. Ecco che allora dal conflitto deriva dolore, che spesso viene interpretato come resistenza da parte del cliente.
Nella prospettiva di questo articolo il dolore provato dal paziente può indicare non necessariamente la sua resistenza nei confronti del cambiamento, quanto piuttosto il contrasto fra la “saggezza” del suo corpo e gli scopi del terapeuta.

6. Il limite più pericoloso del platonismo somatico

Il limite più pericoloso del platonismo somatico è che questa forma di pensiero può diventare uno strumento di potere personale e politico. L’ideale somatico serve a dividere l’élite, che comprende e opera ai fini dell’ideale, da coloro che non vi si assoggettano e soprattutto dagli sfortunati che non possono capirlo.

Ma, se si rinuncia ai modelli somatici ideali, non si rimane di conseguenza privi di elementi codificati e definiti? E questo significa non poter addestrare terapeuti, né tantomeno poter promettere ai clienti alcun tipo di risultati prevedibili.
Spesso gli ideali corporei vengono creati in risposta all’invito a insegnare e a comunicare con un pubblico più vasto.
Terapeuti brillanti, come Rolf o Alexander, hanno lavorato per anni sull’onda di risultati che loro stessi non erano in grado di codificare con chiarezza. I guai cominciano quando si chiede loro di spiegare il proprio lavoro.
Fino agli ultimi anni della sua vita, la dottoressa Rolf parlò solo in modo molto generico di una linea verticale che percorre il corpo in relazione alla forza di gravità. Fino al momento in cui iniziò la stesura del suo libro non aveva mai insegnato uno schema visuale specifico che codificasse la posizione ideale delle diverse parti del corpo.
In realtà è impressionante la difficoltà del compito che venne addossato a una donna che aveva lavorato per anni come ricercatrice, studiato per anni discipline sia tradizionali che non tradizionali, individuando i vari approcci alla terapia somatica, e operato come terapeuta per circa quaranta anni, quando pretesero da lei che formasse in periodi di sole quattordici settimane intere classi di studenti completamente digiuni in materia. È logico che potesse sentirsi costretta a semplificare in modo radicale le sue conoscenze (al solo scopo di poterle trasmettere).

Dopo mesi di riflessione sul problema della precisione nell’insegnamento e nella professione, una serie di immagini mi è finalmente venuta in aiuto nel corso del mio primo viaggio in Italia, mentre il treno, partito da Parigi, dalle Alpi passava alla costiera di Portofino, poi lungo gli Appennini e attraverso la Toscana. Fui profondamente colpito dal fatto che la terra che vedevo fosse il prodotto di secoli di storia umana. Nulla infatti in quel paesaggio era frutto della sola storia naturale. Strade costruite duemila anni fa per consentire il passaggio delle legioni romane verso la Gallia servirono poi nei secoli successivi a Goti, Vandali, Franchi, Germani e Saraceni, quando scesero a saccheggiare la penisola.
Foreste sono state abbattute e ripiantate innumerevoli volte, la fisionomia delle montagne è mutata a causa delle cave di pietra da cui l’uomo ha tratto il materiale per erigere fortezze, palazzi e chiese rinascimentali e barocche, sculture monumentali. Mussolini migliorò il sistema dei trasporti. Dopo la guerra, nuove fabbriche e nuove città sorsero come funghi. E così quello che vidi dal finestrino del Palatino Express era il risultato dell’interazione complessa di forze naturali (vento, pioggia, attività biologica e zoologica, terremoti, etc.), storia umana, cultura, e legge di gravità.
Se invece qualcuno attraversasse in macchina la regione che si estende fra Gallup, nel Nuovo Messico, fino agli altopiani Hopi, vedrebbe soprattutto il risultato dell’azione degli agenti atmosferici e delle altre forze naturali, con l’eccezione di qualche linea elettrica, una stretta autostrada a due corsie, un gruppetto di insediamenti Navaho, e l’orrido colore giallo e malsano dell’atmosfera inquinata dall’impianto per la produzione di energia di Four Corners.
Poniamo che venga diramato un bando per la progettazione e la costruzione di case popolari nel Nord Italia e nell’ Est Arizona. Credo che nessuno, tranne uno speculatore edilizio californiano, oserebbe iniziare il lavoro tentando un paragone dei paesaggi dei due paesi con un modello ideale di paesaggio. Potrebbe invece essere proficuo confrontare i due Paesi fra di loro e con altri, valutando gli effetti dei diversi climi, suoli, storie geologiche, combinazioni di storia culturale e naturale.
Sono possibili due approcci opposti al problema della progettazione edilizia; ciascuno di essi presenta delle analogie con i possibili approcci al lavoro corporeo.
Il primo è più popolare anche perché più lucroso: l’architetto disegna un progetto che può essere massificato e realizzato ovunque con una spesa minima, dall’Est Arizona al Nord Italia, con variazioni computerizzate in rapporto alle differenti necessità in fatto di riscaldamento, ventilazione e isolamento, e con altre minime variazioni a seconda dei materiali reperibili con maggiore facilità nelle singole regioni.
In contrasto con gli stili totalmente differenti delle antiche culture di Oraibi e di Roma, evolutisi attraverso i secoli in risposta a esigenze umane diverse sia sul piano pratico che estetico, ecco i nuovi villaggi, che soddisfano invece le esigenze di costruttori e burocrati.
Ma esiste anche una seconda possibilità, e cioè che vi siano architetti che pianificano la costruzione delle città solo in seguito a studi complessi sul contesto storico, estetico, spirituale locale, oltre che sui movimenti della popolazione.
Queste persone non cercheranno di costruire una città replicabile in qualsiasi parte del mondo, ma una città sola, che soddisfi le esigenze di una specifica comunità, pur tenendo presente l’aspetto economico del problema.

Questo secondo tipo di città suggerisce un metodo di insegnamento disciplinato, ma non platonico, valido per qualsiasi tipo di terapia corporea.
Il corpo di ogni essere umano è il risultato di fenomeni complessi, che tuttavia obbediscono a regole precise, in ambito genetico, fisico, psicologico, sociologico e spirituale.
Imparare a conoscere questi fenomeni è un elemento essenziale della formazione di un terapeuta veramente capace, e costituisce l’aspetto intellettuale del training.
È particolarmente importante il fatto che nel momento in cui si familiarizza con molteplici punti di vista ci si ritrova finalmente liberi da stereotipi.
Chi conosce la fisica non cerca di ricondurre tutto a problemi psicologici; chi ha basi di neurofisiologia non tenta di spiegare la natura del dolore in modo semplicistico, né come effetto della paura, né come semplice conseguenza di una contrattura muscolare; chi conosce la sociologia non si limita a considerare i problemi mondiali esclusivamente in termini di struttura eretta del corpo umano.

La componente percettiva, ossia intuitiva, del training corporeo dovrebbe avere lo scopo di creare la capacità di vedere il modo, unico, personale e caratteristico, in cui il singolo individuo incarna i principi generali di cui sopra.
Da un lato si richiede un eccezionale sviluppo delle differenti modalità della percezione; dall’altro, occorre un elevato livello di coscienza di sé, tale per cui pregiudizi personali, giudizi negativi, proiezioni vengano progressivamente allontanati in modo tale che non possano interferire con il mondo del cliente.
Il bravo architetto o la brava terapeuta corporea sono persone capaci di consentire ai loro clienti di insegnare loro come utilizzare le loro diverse conoscenze e tecniche per giovare alla società.
Vi sono esempi notevoli di questo approccio nelle cosiddette comunità somatiche. Ho citato in precedenza Moshe Feldenkrais, che insegna non come il corpo debba apparire, ma come scoprire le potenzialità nascoste di questo o di quel corpo. Esiste anche la tradizione fondata da Elsa Gindler e diffusa dalle sue allieve, Charlotte Selver, Magda Proskauer, Carola Spreads e L. Ehrenfried.
La loro opera è un monumento all’innata saggezza dell’organismo e alla sua capacità di scoprirsi e di guarirsi.
Nel momento in cui l’esistenza stessa del nostro pianeta è minacciata dal conflitto fra le diverse ideologie, questi uomini e queste donne si ergono a testimoni della bellezza della semplicità della percezione e della modestia degli obiettivi.

Dal n.1 della pubblicazione H’Q

Dr. Johnson

Visione originale http://www.donhanlonjohnson.com/articles/somatic.pdf